THE ISLAND
 

the island recensione

 
E per fortuna che hanno inventato i cloni, altrimenti mi chiedo che ne sarebbe del cinema di fantascienza in questo inizio di terzo millennio…Da quando la pecora Dolly è uscita da una provetta lo spauracchio della produzione in serie di esseri umani aleggia come un incubo sulle nostre teste alimentando storie dalla morale pressoché identica. Spauracchio intorno cui ruota anche l’ultima fatica dell’ipercinetico Michael Bay, colui intenzionato a non perdersi nemmeno uno dei 24 fotogrammi che passano ogni secondo nella macchina da presa. L’ambientazione è quella classica, quella di un futuro catastrofico dove gli uomini sopravvissuti ad una fantomatica epidemia vivono in una specie di bunker, tutti di bianco vestiti, ultra tecnologizzati, tutti controllati dall’occhio del grande fratello che interviene se ci si tocca, se ci si fa trop-  
 
pe domande, se si cerca di risvegliarsi dal torpore che tiene questa strana umanità in uno stato di semi-incoscienza. Insomma la vita nel 2019 è bella quanto una martellata sul dito di un piede, naturale che poi qualcuno s’insospettisca e cerchi di vedere che c’è oltre. Sì certo, il mito della caverna è lì da duemila anni e nonostante navicelle spaziali e realtà virtuali non ci siamo spostati di tanto. Ma i miti sono miti proprio per  
questo, d’altronde. Un po’ meno naturale che in un mondo dove sorvegliano anche la quantità di sodio nelle urine uno qualunque se ne vada a spasso nel cuore della notte a scoprire quello che non deve scoprire… e vabbè, la sceneggiatura presenta qualche crepa, non ce ne possiamo lamentare, perché il film, fino al giro di boa, fino allo svelamento che produce un ribaltamento di prospettive in grado di ridimensionare di molto quello fin qui scritto, funziona e funziona bene, trovando nel punto di vista inverso rispetto a quello che ti aspetteresti il colpo d’ala buono per superare di slancio ogni logoro stereotipo. E’ proprio qui, nella lancinante contrapposizione tra universo reale e universo fittizio, e nel gioco che s’instaura tra i diversi piani di realtà, che “The Island” raggiunge il suo culmine. Forse qualcuno dotato di più ironia avrebbe potuto spingere il meccanismo autoreferenziale alle estreme conseguenze, fino a far appartenere i due cloni di celluloide ai veri Ewan McGregor e Scarlett Johansson. Ci si va vicino (si veda la pubblicità con la Johansson protagonista) quindi va bene così. Qui - dicevamo - il film raggiunge il suo culmine. Dopo comincia la lenta e inesorabile discesa durante la quale l’interesse scema in modo inversamente proporzionale al numero crescente di esplosioni e di rocamboleschi inseguimenti dal tasso d’improbabilità sempre maggiore (finanziati da Puma e X-Box). In pratica quando ci sarebbe da delineare delicate psicologie con una sensibilità che uno che ha fatto “Armageddon” non può avere, quando cioè lui scopre d’improvviso dell’esistenza di un suo sosia capace di sentimenti, sogni e desideri, destinato a vivere una vita infame, piena di menzogne, solo per fornirgli pezzi di ricambio, questi non è che prova un qualche risentimento, qualche moto d’indignazione, qualche scrupolo d’ordine morale. No, questi non fa altro che rispedirlo dai suoi aguzzini, lamentandosi della seccatura e apostrofandolo con un prosaico “clone di merda”. Ultima osservazione al povero Djimon Hounsou. Dopo “Amistad” e “Il Gladiatore”, il ruolo dello schiavo liberato gli si è appiccicato addosso come una ventosa, e ora se lo porta appresso anche quando, come in questo caso, c’entra come i cavoli a merenda.

(di Mirko Nottoli)

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