Era il 1972 quando
Deep Throat uscì
nelle sale. Il regista,
Gerard Damiano, gestiva
un negozio di parrucchiere
insieme alla moglie;
costato 25000 dollari,
il film ne incassò
600 milioni durante
due anni di proiezione
ininterrotta, divenendo
il film più
redditizio nella storia
del cinema. Ora, un
documentario, Inside
Gola Profonda, prodotto
da Brian Grazer e
diretto da Fenton
Bailey e Randy Barbato,
ne ripercorre le gesta,
puntando i riflettori
sul dietro le quinte,
sulle vicende che
interessarono i vari
protagonisti e su
quanto avvenne intorno
al film, sulla portata
rivoluzionaria che
ebbe nel modo di pensare
degli americani, in
un’epoca in
cui i movimenti di
liberazione sessuale
stavano per esplodere
definitivamente. La
vicenda, quella della
protagonista, l’indimenticata
Linda Lovelace, che
non prova piacere
durante
i rapporti
sessuali
perché
scopre
di avere
il clitoride
in gola
e deve
pertanto
prodigarsi
in altra
maniera
(!),
è
tanto
celebre
che
non
merita
qui
di essere
ricordata.
Passato
alla
storia
come
il primo
film
“porno”,
in realtà
Gola
profonda
è
stato
piuttosto
il film
che
il porno
lo ha
sdoganato,
che
l’ha
tirato
fuori
dalle
cantine
semiclandestine
portandolo
alla
luce
del
sole
di un
cinema
di Time
Square.
Quando
parla-
re
di fellatio
era come proibito
da taciti
accordi e
il clitoride
era un organo
misterioso
che era meglio
non sapere
a cosa servisse,
Gola Profonda,
con spirito
scanzonato,
anarchico
e rusticano,
faceva proprio
di questi
due elementi
l’oggetto
centrale del
suo narrare,
attirando
le ire persecutorie
e moralizzatrici
del governo
americano.
Sorvolando
sullo scandalo
Watergate
in cui lo
spettro di
Gola Profonda
si abbatté
come una nemesi
beffarda sul
presidente
Nixon, il
film mette
bene in evidenza
il sostanziale
gap tra gli
effettivi
intenti di
chi realizzò
il film, pochi
e modesti,
e l’enorme
significato
che il film
ebbe sull’opinione
pubblica,
trasformandosi
in un fenomeno
incontrollabile
di costume,
culturale,
sociale e
politico.
Secondo film
in poco più
di qualche
mese sull’emancipazione
sessuale degli
americani
(il primo
fu Kinsey),
cinematograficamente
parlando il
documentario
difetta, se
così
si può
dire, nell’essere
fin troppo
documentario,
impersonale
e asettico
come si conviene
al genere,
e di un finale
incline al
nostalgico
ma ineccepibile
nelle conclusioni
cui giunge:
comunque la
si metta ogni
istanza rivoluzionaria,
ogni spirito
ribelle, ogni
ventata di
trasgressione
è destinata
ad essere
corrotta e
fagocitata
dal mercato
del consumo,
che attutito
l’iniziale
colpo, impiegherà
poco a piegarla,
adattarla,
sfruttarla
secondo le
proprie ciniche
leggi. E’
un destino
triste ma
inesorabile
quello che
la storia
ci insegna:
ogni avanguardia
prima o poi
diventerà
accademia.