Non bisogna mai dimenticare
quanto l’amore
sia effimero e inaffidabile,
spesso celato dietro
maschere di disprezzo
e sommerso e dimenticato
sotto intenti educativi.
Come se l’affetto
in sè fosse
meno importante di
questi ultimi, e acquistasse
valore soltanto inquadrato
in un progetto di
più ampia portata.
Ognuno è pronto
ad insegnare ciò
che conta davvero,
ad inculcare valori
e stili di vita, angeli
e demoni; ad imporre
i propri idoli. L’unica
cosa degna di importanza
è il risultato,
che si cresca nel
modo giusto, che si
salvino le anime;
con qualsiasi metodo:
violenza, droga o
religione. Al punto
di truccare un bambino
come una ragazzina,
per specchiarsi in
lui e rivedere se
stesse, per illudersi
che sia quello che
non potrà mai
essere, facendogli
rinnegare il suo stesso
io. Da un eccesso
all’altro. Dopotutto
senza sangue non può
es-
servi
educazione
nè
purificazione.
Tratto
dall’omomonimo
romanzo
autobiorafico
di J.T.Leroy
e diretto
da Asia
Argento,
Ingannevole
è
il cuore
più
di ogni
cosa
è
un film
tossico
e violento,
guidato
più
dall’istinto
che
dalla
ragione,
che,
anzi,
sembra
negata
sin
da principio.
L’intera
narrazione
è
permeata
di esperienze
estreme,
di personalità
ossessive,
di vite
sprecate
in modi
diversi
e a
volte
opposti,
al
centro delle
quali si trova
il piccolo
Jeremiah,
unico innocente
in un mondo
di psicopatici,
unico bambino
in un mondo
di adulti.
Dalla cattiveria
paranoide
della madre
Sarah (interpretata
dalla stessa
Asia Argento)
e di tutti
i “nuovi
papà”
che questa
si porta a
letto, fino
alla vocazione
salvifica
del nonno,
capo di una
setta evangelica,
il passo è
breve e i
metodi educativi
molto simili,
con una comune
passione per
la cinghia.
Sicuramente
un’opera
molto Rock’n’roll
(sia per lo
stile di vita
da sbandati
che per gli
interpreti,
su cui spicca
un insospettabile
Brian Warner,
meglio conosciuto
come Marylin
Manson), che
la fotorafia
volutamente
sporca e le
musiche azzeccate
di Morgan
aiutano ad
essere credibile.
Ma è
un film che
non va da
nessuna parte,
risultando
addirittura
fastidioso
in molti punti.
E se questa
era una caratteristica
riscontrabile
anche nel
libro, è
evidente che
qualcosa nella
trasposizione
cinematorafica
è andato
perduto; lì
dove il libro
si salva grazie
alla forza
vivida delle
parole, il
film inevitabilmente
affonda, riducendosi
ad un racconto
vuoto ed inutilmente
violento.
(di Antonio
Nasso)