Ecco uno di quei film
di cui fa male parlar
male. E non soltanto
perche si tratta di
un cineasta che abbiamo
amato tanto. In My
Country possiede evidenti
intenti onorabilissimi:
la ricostruzione dei
processi per la verità
e la riconciliazione
che presero luogo
nel 1995 a Città
del Capo e dintorni
sui crimini commessi
durante l'Apartheid.
Le questioni sono
spinose: la confessione
può di per
sé essere ipoteca
di amnistia? la violenza
in guerra è
necessaria? qual è
il margine tra ordine
dall'alto e volontà
propria, soprattutto
quando a venire in
essere sono il sopruso
e la tortura? le radici
personali annebbiano
lo sguardo e la lucidità
di giudizio? Come
abbiamo imparato nel
corso della Storia
e del cinema, quando
si parla di guerra
e di vittime, la verità
e la giustizia, se
mai esistono o sono
esistite, non sono
mai "bianche
o nere"
Dunque,
i problemi
risultano
alquanto
complessi,
e spesso
il marcio
sta
"in
famiglia".
Il fatto
è
che
una
cosa
così
non
la farebbe
più
nemmeno
Richard
Attenborough,
perlomeno
in questo
modo.
Piatto,
scipito,
tirato
via,
In
My Country
non
appassiona
mai,
nè
commuove.
Sembra
un prodotto
girato
per
una
cable
di quart'ordine.
E il
melodramma
è
rasoterra.
Non
ci sono
nemmeno
quegli
appigli
autoriali
che
comparivano
qua
e là
durante
Il
Sarto
di Pana
ma.
Le carrellate
aeree e la Binoche
frignona danno
il colpo di
grazia. Che
Boorman l'abbia
fatto su commissione?
Anche se fosse,
la digestione
è davvero
ardua.