Hausner,
come suggerisce
il titolo,
ambienta la
sua sceneggiatura
in un hotel,
costruzione
che in più
di un’occasione
la Settima
Arte ha trasformato
in teatro
degli orrori,
da Shining
(1981) a titoli
meno noti
come 'Puppetmaster-Il
burattinaio'
(1989) e '13°
piano: fermata
per l’inferno'
(1990), meglio
ancora se
vicino c’è
un tetro bosco
come quello
in cui scompaiono
i protagonisti
di 'The Blair
witch project-Il
mistero della
strega di
Blair' (1999)
o in cui Cappuccetto
Rosso fa l’inaspettato
incontro con
il lupo cattivo.
Ed il Cappuccetto
Rosso in questione
si chiama
Irene, con
il volto della
Francisca
Weisz (vero
nome Francisca
Weiss) interprete
in precedenza
soltanto del
drammatico
'Dog days'
(2001), la
quale viene
assunta alla
reception
per poi scoprire
che sta sostituendo
una ragazza
scomparsa
in circostanze
misteriose.
Da questo
momento in
poi ci si
aspetterebbero
situazioni
di pericolo
a ripetizione
ed indizi
che emergono
progressivamente,
la regista,
invece, rispecchiando
buona parte
di una certa
produzione
europea tipica
del suo paese
e di quelli
circostanti,
si mantiene,
aiutata in
modo particolare
dalla fotografia
priva di colorate
e fantasiose
concessioni
di Martin
Gschlacht
(Luna Papa),
su un piano
altamente
freddo e realistico,
ricorrendo
spesso, probabilmente
per conferire
un tocco di
mistero in
più,
all’immagine
della ragazza
che s’immerge
nelle tenebre,
infatti asserisce:
“Il
racconto convenzionale
che acquisisce
un significato
in virtù
della tensione
drammatica
non mi soddisfa
se lo confronto
con la complessità
del reale.
Preferisco
scrivere della
mancanza di
equilibrio
e della casualità
della vita.
Gli eventi
si susseguono
senza logica,
senza una
conclusione
reale: un
inizio splendido
può
presentare
un epilogo
disastroso,
i sacrifici
umani possono
produrre dei
risultati
o non portare
a niente,
in ogni caso
l’unica
cosa certa
nella vita
è la
morte. Non
è dato
sapere solo
quando, come
e perché
ciò
accade. La
fine di 'Hotel'
rifiuta lo
“spettacolo”
e non appartiene
alla casistica
di quei film
che terminano
proponendo
una soluzione
al pubblico
perché
nella vita
niente è
risolto. Quando
Irene entra
nell’oscurità
in parte sceglie
e in parte
è guidata
dal destino.
Il film esamina
la sete di
conoscenza
che spinge
l’individuo
ad esplorare
il lato più
oscuro dell’esistenza,
pur non raggiungendo
una comprensione
intima della
morte che
rimane misteriosa
oltre ad essere
una condizione
ineliminabile”.
Effettivamente,
la brusca
ed apparentemente
insensata
conclusione
di 'Hotel'
può
spingere a
pensare su
quanti casi
di sparizione,
nella vita
reale, non
trovino spiegazione,
e che la dimora
del titolo
possa idealmente
rappresentare
proprio quella
in cui albergano
i misteri
irrisolti
del quotidiano
vivere, sostanzialmente,
però,
al di là
della nostra
formazione
culturale,
tendiamo a
preferire
orrori più
concreti e
meno suggeriti,
tanto più
che quello
che dovrebbe
porre lo spettatore
in stato di
attesa si
rivela essere
il noioso
assemblaggio
di lunghe
e silenziose
inquadrature,
dal contenuto
tutt’altro
che coinvolgente.
(di Francesco
Lomuscio)
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