LA GUERRA DEI MONDI
 

la guerra dei mondi recensione

 
A ventitre anni di distanza da 'E.T-L’extraterrestre', Steven Spielberg torna ad occuparsi dei cari vecchi visitatori provenienti da un altro mondo. Ma stavolta non si tratta di parenti dello stesso, pacifico alieno che fece amicizia con Elliott/Henry Thomas nel capolavoro riconosciuto del 1982, in quanto ci troviamo di fronte ad una nuova versione su celluloide dei distruttivi invasori spaziali protagonisti del classico della letteratura 'La guerra dei mondi' di H.G. Wells, pubblicato nel 1898 e già portato sullo schermo nel 1953 da Byron Haskin. E lo stesso Spielberg commenta: “Questa qui non è una delle mie storie di extraterrestri buoni, teneri e coccoloni”. Avvalendosi anche di una comparsata degli invecchiati Gene Barry e Ann Robinson, protagonisti della pellicola originale, il Re Mida più famoso di Hollywood ci racconta quindi una  
 
“nuova” storia di fantascienza al centro della quale troviamo la figura di Ray Ferrier, interpretato da Tom Cruise, operaio portuale divorziato che vive un rapporto difficile anche con i figli: l’adolescente Robbie, ovvero il Justin Chatwin già visto in 'Identità violate', e la piccola Rachel, con il volto della bambina prodigio Dakota Fanning, quest’anno protagonista, al fianco di Robert De Niro, del dimenticabile 'Na-  
scosto nel buio'. La famiglia, quindi, elemento sociale che spesso ricorre nella filmografia del regista de 'Lo squalo', assume immediatamente importanza fondamentale, dal momento in cui Ray, la cui ex moglie si è assentata con il nuovo marito, si trova, solo e deciso, a dover portare in salvo i figli dalla potenza distruttrice e mortale dell’esercito dei Tripodi extraterrestri, improvvisamente emersi dal sottosuolo a bordo di gigantesche macchine da guerra a tre zampe. La Miranda Otto del secondo e terzo 'Signore degli anelli' completa il cast del nuovo attacco alieno su grande schermo, evidente fanta-metafora della instabile situazione mondiale che vede principalmente coinvolti Stati Uniti ed Iraq, tanto che Rachel, in fuga con il padre, chiede: “Sono i terroristi?”. Però, Spielberg non sembra schierarsi da nessuna delle due parti, infatti, se da un lato, attraverso la fibra rossa lasciata sulla Terra dagli invasori, richiama il “pericolo comunista”, argomento cardine di quasi tutta la fantascienza appartenente al periodo in cui Byron Haskin realizzò il suo film, dall’altro mette in scena un arrabbiato ed armato Tim Robbins/Ogilvy, incarnazione dell’America militarista e propensa al grilletto facile. E purtroppo, uno dei rimpianti che si hanno a fine visione, deriva proprio dal fatto che non ci venga mostrato quest’ultimo in un confronto diretto con le creature, dopo che esse si sono aggirate nella sua abitazione in una sequenza che, se da un lato cita esplicitamente Jurassic park, dall’altra non può fare a meno di ricordare la situazione d’assedio di 'Signs' di M. Night Shyamalan, titolo che più volte torna alla memoria, mentre le immagini scorrono sullo schermo, insieme ad altri successi degli ultimi anni, come, ad esempio, 'Titanic' (impossibile non pensarlo durante la tragica situazione del traghetto) e, inevitabilmente, 'Independence day'. Ma se nel film di Emmerich, decisamente meno autoriale e volto in maniera esclusiva all’incendio della facile emozione, la lunga premessa alla distruzione poneva efficacemente lo spettatore in uno stato d’attesa che trovava sfogo nel sadico sterminio degli umani, per poi catapultarlo nel sofferto ambito della sopravvivenza, in 'La guerra dei mondi' tutto avviene frettolosamente, tanto che le quasi due ore di durata, impreziosite dalla sempre ottima fotografia di Janusz Kaminski e dagli splendidi effetti visivi ad opera dell’infallibile Industrial Light & Magic guidata da Dennis Muren, scorrono via tranquillamente. E ciò, sebbene permetta ai fruitori di non sprofondare in un sonno liberatorio, risulta essere tutt’altro che un pregio, in quanto, tra coinvolgenti situazioni da disaster-movie ed allucinanti morti degne del miglior film dell’orrore, molti elementi non trovano spiegazione alcuna ed il lungometraggio finisce per assumere i connotati dell’ennesimo, efficace blockbuster d’intrattenimento fine a sé stesso, complice il solito script del sopravvalutato David Koepp, che riesce a rendere ridicola e fuori luogo perfino una battuta che lascia trasparire un divertente attacco al cinismo dei giornalisti. Il tipico senso di paura Anni Cinquanta, però, si avverte pienamente, anche se le sequenze d’attacco ricordano per lo più certi monster-movies giapponesi post-Godzilla del decennio successivo, e Spielberg, pur senza rinunciare al fastidioso epilogo eccessivamente buonista, confeziona il tutto mantenendosi su toni incredibilmente realistici, tali da spingere alla riflessione, ponendo in evidenza il suo tocco da maestro della Settima Arte all’interno di due delle immagini più tristi ed affascinanti del film: i cadaveri trasportati dalla corrente del fiume e la pioggia di residui degli indumenti.


(di Francesco Lomuscio)

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