THE GRUDGE
 

Recensione the grudge

 
E’ inevitabile che l’industria cinematografica hollywoodiana, a corto di idee, saccheggi dalle suggestioni altrui per allestire i suoi circhi? Ultimamente pare averci preso parecchio gusto prendendo a piene mani, come fossero caramelle, le invenzioni del cinema orientale. Non parlo solo del genere wuxia (un esempio odierno è "La Tigre e il Dragone" tenendo conto che tale definizione ha radici storiche pre Bruce Lee e che ci si potrebbe tranquillamente riempire mille pagine con l’argomento) ma anche di tutta una serie vera e propria di pellicole autoctone ("Ringu" diventato poi "The Ring") ispirate da romanzi o storie manga. Non sempre il risultato del rifacimento è necessariamente buono. In questo caso il materiale è stato rimaneggiato dallo stesso regista Takashi Shimizu del primo Ju-on: "The Grudge".  
 
Chiamato direttamente da Hollywood da Sam Raimi a rigirare la pellicola, sulla base di una nuova sceneggiatura scritta da uno yankee e con al centro l’interprete di Buffy, l’Ammazzavampiri Sarah Michelle Gellar. Domanda: a far paura e creare tensione bastano una musica evocativa, porte che sbattono, un gatto nero, una casa stregata coi suoi anfratti bui e subdoli che inghiotte i propri avventori fa-  
cendoli scomparire? Basta una maledizione che germina dalla superstizione popolare per cui i morti di morte violenta perpetuano la loro malvagia disperazione nutrendosi delle vite altrui in cerca di vendetta e riscatto? In questo lungometraggio a ritmo di singhiozzo – non solo metaforico - la risposta è no. L’originale possedeva una propria impronta casalinga che, se d’aspetto risultava meno patinato ne guadagnava in sincera ruvidezza e capacità di spaventare. Non si capisce perché poi i morti debbano per forza chiamare tutti al telefono per irrompere nelle vite dei malcapitati. Le vie dell’aldilà, siccome sconosciute, sono infinite e per quale recondito motivo scelgono l’invenzione di Meucci per palesarsi? La Samara di "The Ring" almeno chiamava senza fare quell’orribile verso di lavandino sturato che ci tocca sopportare qui. Al di là dei buchi di logica nella sceneggiatura, del pretestuoso movente e delle forzature per farci saltare sulla sedia, sono sufficienti una coppia di scene ben assestate a convicervi a spendere i soldi del biglietto? Per i patiti del genere si consiglia vivamente visione casalinga, pena il pubblico ludibrio della sottoscritta perché non vi aveva avvertito e per gli altri… ve lo farei spiegare da un mio vecchio amico. Al telefono. (di Daniela Losini)
 
 
   
 

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