I GIORNI DELL'ABBANDONO
 

i giorni dell'abbandono recensione

 
Un rapporto decennale tra coniugi e una sera la frase “Ti devo parlare” manifesta il dramma sconvolgendo gli equilibri familiari. “Ho bisogno di riflettere” aggiunge il marito fedifrago (Luca Zingaretti, particolarmente inespressivo) terrorizzato dagli anni che incalzano e che risolve il timore delle rughe adagiandosi sulla fotocopia della moglie con, guarda caso, vent’anni di meno. Alle spalle della donna abbandonata, mentre parla con un’amica (daranno tutti assennati consigli, diranno tutti parole fintamente comprensive: quanto si dà noia agli altri nel momento del bisogno e di quanti discorsi inutili si viene sommersi per mascherare la verità) un cartello: “La bontà è disarmante” e in taluni momenti lo si medita intensamente della pellicola che indugia nell’indecisione altalenante tra il registro della commedia e del  
 
dramma. Qui, mai davvero calibrati a sufficienza, mai percepiti nelle dosi adeguate. A far da sfondo alla disperazione detonata e detonante della protagonista, Torino illuminata da gran soiree. Margherita Buy cuore vivo e sanguigno del film fa scenate, si sfoga, urla, si dibatte, dimentica i figli, dimentica se stessa e tutto ma non il pathos: è lei l’unica a crearlo, a mostrare senza filtro cosa non si dovrebbe fare per la di-  
gnità di “lasciato” strepitando credibile e scomposta al mondo tutto quello che vorremmo rimanesse tra le pareti della ragione. Da sola sostiene il peso del racconto cinematografico (attinto per direttissima dal romanzo di Elena Ferrante con omonimo titolo) che altrimenti s’affloscerebbe come carta velina bistrattata dai venti della retorica e infestata da perturbanti battute ad altissimo pericolo d’ingiuria: “Sei troppo buona per me, non ti merito” . Solo Alex Drastico (ndr Antonio Albanese) può pronunciare queste parole senza finire in galera.

(di Daniela Losini)

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