L’amore. Motore
di primigeni istinti,
cagione di lieti godimenti
e lancinanti strazi;
su questa premessa
è articolato
il plot de I giochi
dei grandi, prima
fatica cinematografica
di John Curran, regista
che, viste le premesse,
auguriamoci non venga
bruciato nell’averno
del mainstream hollywoodiano.
Composto da un cast
di attori drammatici
di prima linea, in
primis l’ex
detective di Jane
Campion, Mark Ruffalo
e l’affascinante
musa di Lynch, Naomi
Watts, e narrante
una storia di drammi
intimisti avente come
fulcro nodale due
coppie apparentemente
identiche ma sostanzialmente
diverse, salvo che
per un crogiuolo di
perplessità
ed angosce da cui
si dipanano umori
e gesti gravosi, il
film è una
riproduzione impressionista
delle stagioni esistenziali.
Il candore innocente
(non del tutto) della
primaverile infanzia,
la consapevolezza
disillusa
(non
del
tutto)
dell’autunnale
età
adulta
e la
cupa
disperazione
nell’inverno
della
morte,
senza
dimenticare
l’adolescenziale
estate
dei
sensi,
soltanto
evocata
da immagini
ormai
specchio
polveroso,
ma non
infranto,
di una
fiamma
mai
sopita
fino
in fondo.
In questo
portrait
dell’essenza
umana,
il pennello
porta
il nome
di Amore;
artefice,
al tempo
stesso,
di spirali
di luminosa
gioia
e di
esiziali
ansie,
si mani-
festa
in tutte le
sue forme
diverse ma
in fondo uguali.
Colui che
è convinto
d’essere
amato ma non
vuol dire
d’amare
(Peter Krause),
colei che
ama e teme
di non esser
(più)
amata (Laura
Dern), colui
che ama troppo
(Mark Ruffalo)
e colei che
ama e basta
(Naomi Watts);
accomunati
dalla consapevolezza
distorta di
essersi dissipati
nell’abisso
infinito dei
sogni infranti.
Cosa, dunque,
rende speciale
questa pellicola
dalle premesse
e dallo svolgimento,
alla parvenza,
eticamente
troppo estrema?
La neve. Che
cade soave
e all’improvviso
sul capo assorto
e sull’esistenza
disfatta dei
protagonisti.
Simbolo che
Curran, con
maestria sorprendentemente
navigata,
utilizza per
ben due volte
nell’arco
di sette minuti
e che, in
virtù
di questa
doppia ricognizione,
riempie di
significato
oggetti evocati
durante tutto
lo svolgersi
della 35 mm
(semafori,
alberi, acque
e ponti).
La neve che
svela i sentimenti
reconditi;
la neve che
inganna con
quella sua
bianca purezza,
evocando una
nuova primavera
nel ciclo
delle stagioni
umane; la
neve che infine
(invece) cancella
soltanto,
lasciando
ricordi e
trascinando
con se, una
volta dissoltasi,
sogni passati,
dolori presenti
e speranze
future. Amor
vicit omnia.
Quindi a noi
cosa resta
in questo
tourbillon
di giochi
da grandi?
Cambiare noi
stessi (per
la nostra
vita) o cambiare
la nostra
vita (per
noi stessi)
?
Forse anche
solo ascoltarci
non basta.