LA MIA VITA A GARDEN STATE
 

mia vita a garden state - recensione

 
Pellicola pulita e concertata con onestà questa "La mia vita a Garden State" di Zach Braff, attore di scarsa spendibilità e visibilità mediale che, dopo alcune (poche) parti in produzioni non certo indimenticabili (Il club dei cuori infranti, Getting to know you e Misterioso omicidio a Manhattan), decide non solo di passare dietro alla cinepresa ma, nel contempo, firma il soggetto e la sceneggiatura dell’opera, riservandosi, inoltre, il ruolo di attore protagonista. Il risultato è un film godibile che, senza troppi voli pindarici, pur partendo da un sostrato intimista, vuole essere nel contempo un veritiero portrait della vita intesa come essenza pura. Risultato ottenuto narrando la vicenda privata di Andrew Largeman, attore hollywoodiano che, dopo nove anni, fa ritorno alla casa natale, causa la scomparsa della madre paraplegica, della  
 
cui malattia l’allora piccolo Andy fu la causa, seppur inavvertitamente. In questo breve ritorno alle origini la giovane ma compassata star deve fare i conti con amicizie ritrovate, oggetti riesumati e conflitti interiori del proprio passato, in primis quello con il padre-psichiatra, motivo principe del suo allontanamento. Tra confezioni di Lithium ed eccessi giovanilisti il plot si snoda lungo un sentiero costruito su flash-back e rime-  
mbranze che, come in puzzle, a poco a poco tanto ricostruiscono la vicenda angosciosa di Largeman quanto ne evidenziano l’infondatezza e (o meglio) il contraddetto ampliamento, per giungere, infine, ad una sorta di guarigione interiore. Fulcro nodale della (e nella) vita del protagonista è la conoscenza inaspettata di una giovane, Sam, portata sugli schermi da Natalie Portman; anch’essa schiava delle proprie incertezze, celate al di sotto di un’impulsività dolce e imbarazzata, costituirà lo sblocco fatale e decisivo nell’esistenza piatta ed abulica del protagonista, ora pronto, finalmente, a poter vivere, senza più l’afflizione d’insensati e flagellanti condizionamenti. In questo atto d’amore verso l’esistenza Braff è sottile nel permeare ogni gesto e ogni sensazione con una patina di sentimento, distante dall’eccessività sdolcinata ma neppure dirompentemente teatrale. Avente come tema centrale quello del ritorno, inteso in questa circostanza come un rientro verso i propri ricordi e un volontarismo eliminatorio degli immancabili scheletri nell’armadio, questa 35 mm potrebbe destare parecchie perplessità ai più accaniti detrattori della positività fatalistica. Ai quali, tuttavia, un dubbio potrebbe forse sorgere (ce lo auguriamo di cuore). “Cosa facciamo e dove andiamo ora?” recita l’incipit finale. Magari ci basterà anche soltanto godere la vita a Garden State.

(di Marco Visigalli)

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