GABRIELLE
 

gabrielle recensione

 
Isabelle Huppert e Pascal Greggory sono gli interpreti di straordinaria bravura di "Gabrielle" di Patrice Chéreau, film che a Venezia ha nettamente diviso la critica. Il "Corriere della sera" parla di "film sbagliato e privo di vita", mentre nel "Messaggero" si dice che è "un film appassionante e istruttivo, un capolavoro di scrittura e scenografia". "L'Unità" scrive che il risultato finale è "un cinema di parole e di attori immensamente statico, datato, già visto, noioso e ripetitivo", mentre "Repubblica" tende a sottolineare "la raffinatezza e il lusso" dello spettacolo. "Mymovies" parla di uno "stile registico manieristico e poco omogeneo", sul "Secolo XIX" leggiamo "è un esemplare rarefatto e torturante (sino al tedio più spinto) di quel cinema d'autore trapunto di vezzi e di vizi scambiati per qualità";"Liberation" per smarcarsi dalla  
 
prestigiosa - e a volte infamante - etichetta di uomo di teatro, Chérau fa di tutto per non cadere nel "teatro filmato" ma il risultato però è ben peggiore: cinema filmato". La prima cosa da notare è l'estrema duttilità del regista e la sua notevole capacità di rinnovarsi. Si pensi ai suoi ultimi lavori "Son frère" del 2003, e "La Regina Margot" del 1994: il primo impregnato di intimismo, calore, tenerezza ma anche di grande realismo; il secondo rindondante, movimentatissimo, violento e pieno di sesso. Film diversissimi tra loro, film agli antipodi di questo "Gabrielle", lavoro per palati fini, sicuramente adatto a un ristretto gruppo di cinefili estremamente raffinati e colti. Un'opera non per tutti ma che si fa ammirare per la messinscena accuratissima, elegante e sontuosa (scenografia e costumi sono quanto di meglio si sia visto negli ultimi tempi), un perfetto quadro della società degli inizi del Novecento che non può non richiamare Proust (e che l'edizione originale, dove si parla un colto francese degli anni 20, esalta ancora di più) e che costituisce una vera gioia per gli occhi. "Gabrielle" è tante cose insieme. E' un omaggio alla letteratura ma anche al vecchio cinema (bellissima l'idea delle didascalie che sostituiscono il parlato nelle scene più drammatiche). E' un lavoro al servizio degli attori (Isabelle Huppert in particolare è da applauso a scena aperta e conferma ancora una volta il suo essere una delle più grandi attrici del cinema internazionale). E' una spietata impietosa denuncia, alla Strindberg e alla Bergman, del matrimonio borghese, delle convenzioni di un'epoca e di una classe sociale. E' la descrizione, minuziosa e analitica, di una presa di coscienza, del mondo di lui che crolla, di quello di lei che si sveglia. E' un film che parla dell'oggi, degli orrori che possono celarsi in una coppia apparentemente perfetta, con un lui egoisticamente soddisfatto nel suo piccolo mondo chiuso e una lei che finalmente trova il coraggio di parlare, di essere finalmente se stessa e di trovare, se non la felicità, almeno la libertà e la consapevolezza. Un film estremamente anticonvenzionale rispetto a quanto siamo
ormai abituati a vedere sul grande schermo, utile per discutere e per riflettere su noi stessi e su chi ci è vicino. Un film inquietante e doloroso che può suscitare qualche perplessità ma che sicuramente contribuisce a fare "grande" il cinema europeo.

(di Leo Pellegrini)

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