FRATELLA E SORELLO
 

fratella e sorello recensione

 
Il nome Sergio Citti rievoca l’ultima grande stagione del nostro cinema, quello del decennio 60/70: un cinema coraggioso e di denuncia, un cinema che parlava dell’Italia e degli Italiani e in cui ogni spettatore poteva riconoscersi, nel bene e nel male. A differenza di altri, Citti ha sempre, con pervicacia, continuato per questa strada tanto che a molti oggi la sua produzione appare datata e rifarsi a un mondo e a una ideologia ormai scomparsi da tempo. Eppure ogni suo lavoro risulta meritevole di considerazione, soprattutto per l’onestà intellettuale con cui viene realizzato. Il suo cinema, capace di cogliere come pochi l'anima popolare, appare come uno dei pochi baluardi di resistenza alla società sempre più massificata, una nostalgica esaltazione del sottoproletariato orgoglioso della propria identità e restio  
 
ad accettare i mutamenti e le inevitabili “modernizzazioni”, una celebrazione (sconfitta in partenza?) di chi non crede più in uno sviluppo decente della società civile. Dopo aver lavorato con Fellini Bolognini Bertolucci, Citti divenne uno dei più fedeli collaboratori di Pasolini (sia come aiuto regista che come consulente per il dialetto). “Storie scellerate” del 1973 fu l'ultimo film che Citti girò potendo contare sulla pre-  
senza di Pier Paolo. I film successivi sono interamente suoi (da “Due pezzi di pane” e “Casotto” del 79 a “Cartoni animati” del 98): tutti film in cui, dove più dove meno, si ritrovano i temi e i toni prevalenti in questa sua ultima fatica: il mondo ostile; l'amicizia fraterna e la solidarietà; una presenza femminile capace di dannare; un immenso, doloroso bisogno d'amore; la ricerca dell’equilibrio fra lo scherzo, il paradosso e il dramma, il comico e il surreale… Personalità “scomoda” e “imbarazzante”, poeta e filosofo contemporaneamente Citti vive in disparte e in solitudine dal mondo dorato della ribalta (e poi da circa due anni ha perso l'uso delle gambe e l'udito per una grave malattia). L’ostracismo (?) nei suoi confronti sembra avere avuto una battuta d’arresto con l’uscita (dopo tre anni!) di questo suo film ( dà da pensare il grave ritardo della distribuzione dell’opera di uno dei più interessanti registi nostrani quando settimanalmente trovano facilmente posto prodotti di infimo livello). Film non pienamente riuscito ma che gli amanti del buon cinema non dovrebbero rinunciare a vedere. Il titolo - ha detto lo stesso Citti - l'ha rubato da un brasiliano che dalle parti di Fortaleza lo salutò dicendogli "Tu ed io fratello e sorella", amici veri. Ed è questo infatti il tema portante: l’amicizia virile, la sola unica possibilità di sollevarsi dalle miserie del vivere quotidiano. Certamente misogino (benché l’autore l’abbia negato) a molti potrà sembrare “non politicamente corretto”, volgare, sboccato, di cattivo gusto… ma è indubbia la sincerità che il regista pone nella tesi in cui crede e che lo rende, anche se si è in disaccordo, meritevole di attenzione. Per un discorso più tecnico, ritroviamo in “Fratella sorello” la realizzazione scarna ed essenziale (quasi povera e volutamente grezza), l’assenza di movimenti della macchina da presa, l’intenzione di mostrare una realtà che si rappresenta da sola senza alcun apparente intermediario. Il film si caratterizza (e a mio parere è un difetto) nella netta separazione, quasi a scompartimenti stagni, fra le tre situazioni illustrate: la vita in carcere, la vita in comune tra i due protagonisti una volta fuori, il processo per l’accusa di stupro. Sembrano quasi tre diverse puntate (ognuna compiuta in sé e autosufficiente) di un unico lavoro a cui però manca proprio l’unitarietà e l’omogeneità (va anche detto che la seconda parte, eccessivamente realistica e in contrasto col tono surreale delle altre, procura nello spettatore fastidio e quasi imbarazzo). Da sottolineare che qui Citti si rivela un ottimo conduttore di attori: tutti molto bravi, da un eccezionale Rolando Rovello a un autoironico Claudio Amendola, da una intensa Ida Di Benedetto a una sempre mai troppo rimpianta Laura Betti. Da ricordare infine Youma Daikite, una autentica vera rivelazione.

(di Leo Pellegrini)

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