FERRO3 - LA CASA VUOTA
 

- Recensione -

 
Un ragazzo gira per la città con la sua moto, distribuendo volantini. Ripercorre lo stesso tragitto e si ferma davanti ad una porta dove il volantino non è stato tolto: probabilmente in casa non c’è nessuno. Apre allora la porta con dei chiavistelli ed entra. Non ruba, non scassina, non distrugge: abita la casa con l’amore di chi la possiede, prendendosi cura delle piante, aggiustando gli oggetti rotti e risistemando tutto prima di andarsene. Vive cosi Tae-Suk, passando di casa in casa quando i proprietari non ci sono; fino a che non incontra Sun-hwa, bella, ricca e infelice, con i segni sul corpo dei maltrattamenti del marito. Affascinata dai suoi modi delicati e gentili, Sunhwa decide di fuggire con lui , con la prospettiva di una vita ai margini ma che ha il sapore della libertà. La fuga si interrompe bruscamente quando in una  
 
delle case trovano un uomo morto; Tae-Suk viene accusato dell’omicidio e imprigionato, lei obbligata a tornare a casa. Potranno ritrovarsi solo alla fine; e il regista getta ambiguità sull’happy end con un “è difficile dire se il modo in cui viviamo sia realtà o sogno”. Il tema centrale del film è la comunicazione. Due codici sono messi a confronto: la parola e il silenzio; due mondi: i protagonisti e tutti gli altri.  
C’è uno iato che impedisce il passaggio da una parte all’altra, una linea netta di demarcazione: la pallina da golf si fa segno del diverso approccio con l’altro, a volte violento, a volte dolce, a volte mortale. I protagonisti non parlano ma comunicano continuamente: con la musica, con gli sguardi,con i gesti, con il silenzio, un silenzio tattile, concreto, denso. Il codice visivo serve ad assolutizzare ancora di più il legame che c’è fra loro: solo lei alla fine può vederlo. Kim ki-duk utilizza una linguaggio sottile e penetrante, lascia parlare gli oggetti, concreti e simbolici al tempo stesso. Il film si apre con un’immagine non pienamente decifrabile: percepiamo il sibilo della mazza da golf, il colpo secco dato alla pallina, la pallina che colpisce un telo azzurro. Ma non vediamo nessuno tenere una mazza; proprio come “gli altri” del film. È questa la riflessione che l’autore vuole farci fare in questo film costruito su un silenzio lirico, magicamente poetico. (di Margherita Pasquini)
 
 
   
 

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