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Un
uomo che passa velocemente
davanti all'obiettivo della
cinepresa di un filmino
familiare è l'unica
immagine che Ariel ha del
padre, partito per Israele
e mai più tornato
dalla moglie e dai figli
che vivono e lavorano a
Buenos Aires. Il protagonista
è un giovanotto che
vorrebbe prendere il passaporto
polacco per trasferirsi
nel Vecchio Continente e
per riannodare i legami
con la terra d'origine della
famiglia ebrea che si è
rifugiata in America Latina
per sfuggire all'Olocausto.
Il mondo di Ariel, descritto
dal film in svelti capitoletti
(alcuni abbastanza gustosi
e altri scontatissimi) si
identifica con una modesta
galleria-centro commerciale
(sua madre vende biancheria
intima femminile) con i
suoi negozi e soprattutto
con i suoi negozianti. Accadimenti
minuti, abitudini, sguardi
rassegnati e stanchi, pause
prazo, amplessi furtivi,
silenzi, mi- |
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nimalismo
da confesercenti. Una nonna
che canta, una madre che
si lascia corteggiare, una
storia senza domani con
una donna matura di un internet
point, un fratello che compra
e vende di tutto, una crisi
economica diffusa, una gara
tra fattorini. In attesa
di un padre che ricomparirà
(la sceneggiatura poteva
evitarlo) senza un braccio
e senza chiedere scusa.
Una regia, poco originale,
di dettagli e da bozzetto
della commedia umana. Gran
Premio della giuria a Cannes.
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Enrico
Magrelli (Film TV) |
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