DONNIE DARKO
 

Recensione

 
2 ottobre 1988. Era il tempo dei Duran Duran e degli Spandau Ballet. Era anche il tempo della lotta per la presidenza degli Stati Uniti, tra Bush e Dukakis, dello scienziato Stephen Hawking, di Haungry Hungry Hippos, dell'arrivismo e della voglia di apparire. Ed è in questo contesto che si inserisce e si dipana la storia di Donnie Darko (l'ottimo Jake Gyllenhaal), un ragazzo con seri disturbi mentali, sonnambulo, che nel sonno si sente chiamare da una voce spettrale: "Svegliati Donnie", dice Frank. "Ti ho osservato... seguimi. Vieni più vicino". Non ci sarebbe nulla di strano se non fosse che Frank è un coniglio alto due metri e che annuncia a Donnie la fine del mondo in 28 giorni. Straordinariamente intelligente e sensibile, secondo di tre fratelli, di una famiglia medio-borghese americana, Donnie va a scuola, dove viene schivato  
 
da tutti o quasi, prende le sue pillole anti-psicosi, soffre di allucinazioni e riceve le regolari visite di Frank. Tutte queste cose non sembrano preoccuparlo minimamente, quanto invece, il terrificante mondo che lo circonda, un mondo abbrutito dalla cultura pop, dagli eccessi materialistici e dall'ipocrisia dilagante. L'esordio alla regia dello scrittore-regista Richard Kelly è un film geniale, dalle mille sfaccettature, ammaliante  
e coraggioso. Molte sono state le discussioni che hanno accompagnato il film, è forse la storia di una società sempre più cinica e piegata su sè stessa? Oppure la favola di un eroe adolescente che tenta di cambiare ciò che lo circonda? E ancora, Donnie Darko è forse il rintocco funebre dell'era Reaganiana? La forza del film sta proprio nel lasciare aperte le porte alle interpretazioni più disparate, nel rendere plausibili i molti significati che gli si possono attribuire. Forse soltanto "Shining" di Kubrick ha dato adito a una tale quantità di discussioni, e come Shining, "Donnie Darko" è un film da vedere, rivedere e stravedere, per poterne cogliere ed apprezzare le incredibili coincidenze, i richiami (più o meno velati), i collegamenti, che ad una singola visione potrebbero sfuggire. La musica stessa, con le canzoni dell'epoca ("Killing Moon" degli Echo & The Bunnymen - già nel nome del gruppo un (in)volontario riferimento a Frank - "Mad World" dei Tears For Fears, "Notorious" dei Duran Duran, ma soprattutto "Love Will Tears Us Apart" dei Joy Division), rappresenta un'importante chiave di lettura di Donnie Darko. Raramente si era visto in un film, una totale e così perfetta corrispondenza tra le immagini e le atmosfere evocate attraverso la musica. Gli anni '80 sono stati infatti, anche il periodo del Dark - il protagonista si chiama guarda caso Darko - e del pop, due facce della stessa medaglia. Da una parte la decadenza, la melanconia, l'insofferenza e il male di vivere (il dark) impersonato da Donnie e dalla sua fidanzata, dall'altra il materialismo, la società dei consumi e l'usa e getta (il pop) che è in tutto ciò che lo circonda. L'anima "dark" di Donnie si riflette improvvisamente come parte di un sistema sovraordinato, nel quale il ragazzo si accorge di muoversi e del quale non ne accetta le regole. La sua intolleranza verso il mondo adulto, quello becero e infantile dei suoi compagni di scuola, la sua insofferenza verso un certo tipo di educazione scolastica si fanno via via sempre più opprimenti, fino a portarlo all'enigmatico finale. Forse e' riduttivo definire "Donnie Darko" come un semplice Cult Movie, quando siamo di fronte ad un vero Capolavoro. (Manuel Cossu)
 
 
   
 

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