Il romanzo di Ira
Levin che ha ispirato
"La Fabbrica
dei sogni",
film del 1975 con
Katherine
Ross e Paula
Prentiss,
utilizza con abilità
le convenzioni e gli
snodi del thriller
e della suspense orientandoli
verso una satira sociale
della classe media
americana, della mitologia
di un ottimismo domestico
esaltato dal consumismo
e da una cultura pop
infarcita di elettrodomestici,
divani, acconciature,
vestiti e sorrisi
che codificavano il
migliore dei mondi
possibili: quello
delle casalinghe e
delle mogli realizzate
in quanto casalinghe
e mogli. Trent'anni
più tardi,
nel remake firmato
da Frank Oz "La
donna Perfetta",
le convulsioni, le
diverticoliti, le
rivendicazioni e gli
eccessi del femminismo
e del postfemminismo
appartengono alla
storia del costume
e della sociologia.
Sposare una macchina
o trasformare, nel
troppo ridente sobbor-
go
di Stepford,
le mogli
in un
automa
premuroso
e passivo
è
un anacronismo
che
non
sfugge
a chi
dirige,
a chi
ha scritto
il copione
e al
cast
(i migliori
sono
Nicole
Kidman,
Glenn
Close
che
è
l'unica
attrice
che
può
sembrare
credibile
mentre
stringe,
accorata,
una
testa
finta
costruita
dall'apposito
reparto,
Christopher
Walken,
leader
del
club
dei
mariti
da barbecue
e blazer
blu,
e Bette
Midler).
Prevale,
rispetto al
prototipo
degli anni
'70 il tono
da commedia
fantastica.
Il film, gradevole
e meno ovvio
della produzione
corrente,
vale più
per i dettagli,
alcune intuizioni
della scenografia
e dei costumi
che per altro.
È un
oggetto singolare
e non classificabile.(di
Enrico
Magrelli
- Film
TV)