Se parlano a noi profani
delle spiagge di Santa
Monica e Venice, California,
ci viene in mente
sole, surf, bay watchers
in bikini. Ma nel
lembo di strada che
le congiunge c’e’
tutt’altro :
un luogo “dove
i detriti incontrano
il mare”, dove
tra le rovine di un
parco divertimenti
si fa surf illegalmente
rischiando l’osso
del collo per dimostare
a se stessi che si
e’ qualcuno.
Non si puo’
prescindere da questo
luogo, Dogtown, per
descrivere l’album
di ricordi che sfoglia
insieme a noi il regista
Stacey Peralta. Dogtown
and Z-Boys non e’
solo un documentario,
ma e’ prima
di tutto un’autobiografia.
Peralta faceva parte
integrante della storia
che ci racconta; all’inizio
degli anni ’70
ha fatto insieme J.
Adams, Tony Alva e
gli altri Z-Boys la
storia dello skating.
Uno stile derivante
dal surf, ma che a
poco a poco e’
diventata una scuola
a cui ispirarsi. L'e-
sperienza
che
si vive
da spettatori
e’
quella
di andare
a trovare
un amico
che
ci racconta
come
e’
stato
possibile
passare
da un
passatempo
quasi
forzato
(facevano
skating
nelle
ore
in cui
Dogtown
era
avara
di onde
cavalcabili)
ad un
fenomeno
di costume
che
ha portato
degli
adolescenti
sulle
riviste
di mezzo
mondo.
Peralta
sceglie
i documenti
storici,
album
di fotografie,
filmati
della
BBC,
molto
materiale
amatoriale
piut-
tosto
che sballarci
con immagini
prese da qualche
contest di
skating di
NY o LA. Scopriamo
i volti ed
i sentimenti
di questi
ragazzini
che oggi sono
uomini di
mezza eta’
che hanno
preso strade
assai diverse,
ma con ancora
in comune
lo stesso
senso di fierezza
di aver fatto
parte del
mitico Zephir
Team. Passiamo
dal contare
decine di
tavole da
surf spezzate
a scorribande
sullo skate
in piscine
private svuotate
dalla siccita’
del ‘70
e muse ispiratrici
dello stile
Zephir. Niente
fiction hollywoodiana,
ma tanta realta’
spesso romantica,
ma talvolta
cruda come
il pezzo di
intervista
a J. Adams
che col nodo
in gola si
rammarica
di essersi
dedicato troppo
alle feste
ed alla droga
. Un documento
autentico
sul fenomeno
dello skating,
sulla storia
dei ragazzi
che l’hanno
esaltato,
su un luogo
in rovina
che ha generato
talenti e
su un tempo
in cui accarezzare
il bordo di
una piscina
su una ruota
significava
essere qualcuno
e meritare
rispetto.
Peralta ha
colmato magistralmente
il vuoto di
conoscenza
attorno a
questa storia,
alla sua storia.
Unico rammarico
per il pubblico
italiano,
perdersi la
voce narrante
di un Sean
Penn assolutamente
appassionato.