vide
il plot in
tante piccole
microsequenze,
il risultato
è sostanzialmente
buono e mirato.
Il film arriva
là
dove sembra
voglia andare
a parare e
lo fa non
senza l’utilizzo
continuo di
meccanismi
ambigui, atti
a condurre
lo spettatore
verso lo straniamento
più
esasperato.
Da film d’azione
e combattimento,
a dramma,
a noir, di
nuovo all’azione
per chiudere
con un lieto
fine: ecco
l’intuizione
difficile,
ma in buona
parte riuscita,
della coppia
Besson-Letterier.
Ma cos’è
in sostanza
'Danny the
dog'? Storia
di un giovane
ragazzo, allevato
sin dalla
tenera età
di quattro
anni da uno
strozzino,
che ne fa
il suo cane
da guardia
in senso letterale,
della sua
rinascita
interiore
grazie all’incontro
con un accordatore
di pianoforti
non-vedente
e delle conseguenze
che la musica
provoca sulla
sua esistenza,
riesumando
il passato
fatto morire
con un lavaggio
di cervello
capace di
cancellare
emozioni e
sentimenti.
Danny è
una storia
di amore e
di integrazione;
una fotografia
dell’ideale
familiare
e degli strazi
che il suo
disfacimento
può
provocare
nel corso
dell’esistenza.
Ma è
anche storia
di un incontro
con l’altro
che, una volta
presoci per
mano, si rivela
essere un’altra
faccia di
quell’io
che siamo
(ritornati
ad essere?).
Danny è
anche l’emblema
della lotta.
Un combattimento
che si sfaccetta
in due direzioni
dissimili.
Da una parte
la cruda violenza
degli impulsi
travisati
e dall’altra
la battaglia
per preservare
se stessi,
la propria
famiglia,
il proprio
mondo che,
con tanta
fatica, è
venuto a galla
dall’oscurità
degli abissi
in cui era
stato incatenato.
Danny è,
infine, la
manifestazione
estrema dei
mostri che
la società
è capace
di generare,
alienando
l’essenza
pura dell’esistere
che, tuttavia,
con il tenace
ausilio dell’amore
di e per qualcosa/qualcuno
(musica/famiglia),
può
trovare il
modo di spezzare
il collare
dell’oppressione.
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