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Ognuno ha dentro di
sè un cuore
misterioso, sconosciuto,
di cui spesso ignora
l’esistenza,
a cui si avvicina
a poco a poco, lentamente,
e che altrettanto
lentamente si lascia
scoprire, schiudendo
una incredibile pulsione
vitale. Come un fremito,
scuote il corpo e
l’anima e fa
nascere a nuova vita,
regalando all’oblio
tutto ciò che
è esistito
in precedenza. Questo
cuore è un
Cuore Sacro. Da questo
prende il titolo e
le mosse il nuovo
film diretto da Ferzan
Ozpetek e scritto
a quattro mani con
Gianni Romoli. Un
racconto poetico,
lirico, raccontato
in modo vibrante;
una discesa nei meandri
di se stessi e del
proprio passato; un
valzer su quella sottile
linea che divide la
normalità dalla
pazzia, la beatificazione
dalla camicia di forza.
Un’opera dai
colori tenui e autunnali,
mai urlata, sulla
quale aleggia una
malinconia pervasiva,
densa come |
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nebbia.
Quella di
Irene (Barbora
Bobulova)
è una
storia profondamente
umana, piena
di turbamenti
interiori,
che si incammina
gradualmente
su di un sentiero
di illuminazione
spirituale
di francescana
memoria, che
le rende possibile
abbandonare
il proprio
bozzolo di
cinica affarista
per volare
via, riscoprendosi
donna e madre,
innamorata
del mondo
e della vita,
ma soprattutto
di quelli
che soffrono:
perchè
Dio non è
nelle chiese
nè
dentro i palazzi,
ma vicino
ai derelitti.
Una trasformazione
che la porterà
a rinnegare
anche il suo
nome, con
grande consapevolezza,
senza colpi
di testa,
conscia di
ciò
che è
stata ma che,
ormai, non
è più;
in un deja
vú
continuo tra
passato e
presente,
tra genitori
e figli, tra
infanzia ed
età
adulta, sullo
sfondo di
una Roma che
si fa parte
integrante
del film,
con i suoi
vicoli e i
suoi scorci
di rara bellezza.
Il risultato
è un
film particolare,
che non offre
spiegazioni
comode allo
spettatore
e che vuole
farsi decriptare
lentamente,
unico modo
per non rischiare
di banalizzarlo
e di appiattirlo
facendogli
perdere proprio
le sue caratteristiche
più
interessanti,
legate alla
caratura interiore
dei personaggi,
allo stesso
tempo duri
e spaventati,
in fondo in
cerca di se
stessi più
di ogni altra
cosa. (di
Antonio
Nasso) |
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