|
|
|
|
|
|
"Meglio tardi
che mai". Con
questo slogan si potrebbe
aprire una critica
a 'Mean Creek', pellicola
del debuttante Jacob
Aaron Estes che, dopo
due anni di peripezie
distributive, approda
sugli schermi peninsulari
non senza lasciar
intravedere tutti
i crismi di un capolavoro
di nicchia. Partiamo
dalla regia. Poggiante
su di un oculato sostrato
fotografico, la macchina
da presa di Estes
si snoda per tutti
i '90 minuti tra soggettive
nervose, campi/controcampi
repentini e sopratutto
primi piani obliqui.
In questa maniera
è la natura
stessa il vero motore
e il protagonista
incontrastato del
plot. Estes è
sapiente nello scaraventarla
sullo schermo senza
troppi fronzoli. In
essa si riflettono
stati d'animo e da
essa spesso e volentieri
si dipartono, su direttive
antitetiche, pause
e ripartenze improvvise.
C'è |
|
|
|
molto
Van Sant in
questa 35
mm: il crepitio
delle foglie
secche, il
sole rifranto
nella rugiada
di bosco,
lo scrosciare
intenso delle
correnti fluviali.
La differenza
sta nell'intensità
e nel ritmo.
Molto più
angosciato
e silenzioso
quello del
padre di Elephant;
molto più
parlato (ed
urlato) quello
di Estes.
Il film può
essere considerato,
a ragione,
un magnifico
affresco di
Madre Natura
in cui sembrano
convivere
contemporaneamente
la precisione
tecnica di
Caravaggio,
la calma naturale
delle Ninfee
di Monet,
l'irruenza
fisica di
Goya e il
simbolismo
onirico di
Bocklin. E
l'uomo dove
si colloca
in questo
dipinto? Più
che il viandante
di Friedrich
esso ricorda
l'Islandese
leopardiano.
Giunti a questo
punto facciamo
un ulteriore
|
passo
in avanti
e consideriamo
un aspetto
fino ad ora
trascurato:
la storia.
Qual'è
infatti il
simbolismo
celato (neanche
troppo eccessivamente)
da questa
picaresca
rappresentazione
di un pomeriggio
qualsiasi?
Inanzitutto
potremmo dire
che 'Mean
Creek' è
una storia
di vita e
morte. Un
racconto drammatico
di una tragedia
non voluta
ma forse inconsciamente
cercata. Cos'altro?
Sicuramente
una storia
di cambiamenti
e responsabilità
che investe
la vita di
sei ragazzi
in cerca soltanto
di vendicativo
divertimento.
Un racconto
circa il destino
dell'uomo
e delle conseguenze
che l'irruenza
e la precocità
dello stesso
può
portare nell'incedere
naturale di
un'esistenza
comune. Nessun
gioco da grandi
al centro
della vicenda,
al limite
appenna accennate
le conseguenze
inevitabili
degli stessi
(inevitabili
appunto).
Cè
proprio tutto
in questi
novanta minuti:
di fronte
alla morte
c'è
chi decide
di vivere,
chi di sopravvivere,
chi di scappare.
La soluzione
migliore?
Non esiste.
Al massimo
la speranza
di poter vivere
con innocenza
almeno la
propria adolescenza.
Una speranza
tuttavia disattesa.
(di Marco
Visigalli)
|
-
Scrivi la tua
recensione! |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
Copyright © Cinema4stelle.it 2003-2005.
Tutti i diritti sono riservati.
|
|
|