COSE DA PAZZI
 

recensione cose da pazzi

 
Una mistione continua di serio e faceto: ecco servito 'Cose da pazzi', ottava firma del regista-attore Vincenzo Salemme, personalità poliedrica, freneticamente spesa tra cinema e teatro e dalle due differenti forme di spettacolo attratto al punto di riversare tutta la propria verve di performer tragicomico da palcoscenico in ogni sua produzione 35 mm. Riadattamento filmico di una commedia dall’omonimo titolo, portata in scena a cavallo tra il 2002 ed il 2003, a sua volta rivisitazione di un’opera teatrale del 1992 (Lo strano caso di Felice C.), 'Cose da Pazzi' è la breve storia di cambiamenti inaspettati ed ambigui che sconvolgono la vita di una normale famiglia partenopea, residente a Roma, la quale si trova a dover fare i conti con una serie di misteriose buste colme di denaro recapitategli anonimamente e con le  
 
conseguenze sussultorie che questi eventi provocano nel microcosmo quotidiano nella quale vive, oltre ai Cocuzza, uno stuolo di parenti serpenti; una sinossi a flashback che si risolve inaspettatamente, per mezzo di un finale dolceamaro e riflessivo. Ad una prima parte squisitamente comica, condita da gag agrodolci e da un uso quasi asfissiante del vernacolo, fa da contr’altare, infatti, una seconda frazione in cui  
umorismo ed immediatezza lasciano spazio ad un profondo ripiegamento nel quale emergono con improvvisa irruenza una forte analisi antropologica sui valori dell’uomo e soprattutto sulle conseguenze spesso disastrose che, senza alcun preavviso, una crisi di certezze ed ideali può provocare nel più recondito subconscio umano. Grazie ad un cast oliato in ogni minimo ingranaggio (non dimentichiamo la stretta conoscenza performativa che intercorre tra il regista-protagonista, Izzo e Casagrande) e in virtù di una recitazione impeccabile da parte di un Salemme in grande spolvero, il film, pur non regalando nulla di originale alla filmografia nostrana, rischia di finire in pasto alla famelica coscienza critica. Accusato, da una parte, di non aver compiuto quel salto di qualità che ci si poteva (o forse doveva) attendere e dall’altra di aver messo insieme due microfilm tra loro troppo distanti, il regista risponde che, manipolando l’originale piece del 1992, oltre a voler decontestualizzare un plot ormai “superato”, ha cercato e di vendere una morale scomoda, ma col sorriso dolceagro sulle labbra e di miscelare alla perfezione le due anime antitetiche della propria personalità . Scelta comoda? Forse. Resa, tuttavia, con integerrima onestà.

(di Marco Visigalli)
 
 
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