che
Tofanelli
è bravissimo
come pittore
e come documentarista
(immagini,
inquadrature,
ricerca del
cromatismo
sono da dieci
e lode) ma
non lo è
altrettanto
come cineasta
tuttofare.
Nel cinema
italiano siamo
alle solite:
uno ha una
buona idea
e invece di
affidarla
ad un bravo
soggettista
e a un bravo
sceneggiatore,
fa tutto lui
(e se lo dirige
anche). Il
nostro cinema
odierno soffre
di “geni”
che amano
isolarsi,
il lavoro
in equipe
è quasi
ignorato e
nascono quindi
opere, come
questa, in
cui nulla
giustifica
la durata
di due ore.
Nella prima
mezz’ora
si è
detto tutto
e quindi il
resto è
un riempitivo,
un annaspare
di qua e di
là
che procura
nello spettatore
irritazione
e tanta noia.
L’idea
è generosa
di spunti:
l’incontro
tra due esseri
diversissimi,
tra due concezioni
del mondo,
tra chi vive
immerso nella
natura (e
ne è
quasi un elemento)
e chi è
un prodotto
prettamente
sociale. Il
contatto e
lo scontro
possono avere
le più
disparate
conseguenze
e quindi dovrebbe
abbondare
il materiale
su cui imbastire
una storia
cinematografica.
Ma in “Contronatura”
di quanto
potrebbe accadere
poco ci viene
illustrato:
due o tre
avvenimenti
che poi vengono
ripetuti continuamente,
dando l’impressione
che non si
sappia cosa
dire. Le carenze
della sceneggiatura
fanno sì
che i personaggi
risultino
alquanto statici
(gli attori
sono bravi
ma visti i
rispettivi
ruoli assolutamente
mancanti di
sfaccettature
risultano
alla fine
monocordi),
senza evoluzione
e quindi sostanzialmente
improbabili.
E’ impossibile
immedesimarsi
in loro, sentirli
vicini, partecipare
alle loro
vicissitudini:
figure senza
vita immerse
in un paesaggio
paradisiaco
e che danno
quasi l’impressione
di disturbarci
dal godimento
di tanta bellezza.
(di Leo
Pellegrini)
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