CONTRONATURA
 

contronatura recensione

 
Menzione della giuria al Festival EuropaCinema 2005 di Viareggio, il film è un'opera prima: Alessandro Tofanelli infatti si è finora dedicato esclusivamente ai documentari e alla pittura. Adesso affronta la sua prova più ardua, il lungometraggio. “Una versione tirrenica e moderna di Lady Chatterley“ (come qualche critico ha sottolineato): una moglie insoddisfatta si innamora di Giacomo, figura “non politicamente corretta“, barbuto bello e introverso guardiacaccia che sembra vivere in un mondo senza tempo. Ma la storia appare quasi un pretesto, i veri protagonisti sono il verde e i suoi abitanti, il parco e il paesaggio circostante, il bosco e la palude: e infatti visivamente il film è nettamente superiore alla media (a volte si è quasi abbagliati da ciò che vediamo e che la fotografia rende al meglio). Il guaio è  
 
che Tofanelli è bravissimo come pittore e come documentarista (immagini, inquadrature, ricerca del cromatismo sono da dieci e lode) ma non lo è altrettanto come cineasta tuttofare. Nel cinema italiano siamo alle solite: uno ha una buona idea e invece di affidarla ad un bravo soggettista e a un bravo sceneggiatore, fa tutto lui (e se lo dirige anche). Il nostro cinema odierno soffre di “geni” che amano isolarsi, il lavoro in equipe è quasi ignorato e nascono quindi opere, come questa, in cui nulla giustifica la durata di due ore. Nella prima mezz’ora si è detto tutto e quindi il resto è un riempitivo, un annaspare di qua e di là che procura nello spettatore irritazione e tanta noia. L’idea è generosa di spunti: l’incontro tra due esseri diversissimi, tra due concezioni del mondo, tra chi vive immerso nella natura (e ne è quasi un elemento) e chi è un prodotto prettamente sociale. Il contatto e lo scontro possono avere le più disparate conseguenze e quindi dovrebbe abbondare il materiale su cui imbastire una storia cinematografica. Ma in “Contronatura” di quanto potrebbe accadere poco ci viene illustrato: due o tre avvenimenti che poi vengono ripetuti continuamente, dando l’impressione che non si sappia cosa dire. Le carenze della sceneggiatura fanno sì che i personaggi risultino alquanto statici (gli attori sono bravi ma visti i rispettivi ruoli assolutamente mancanti di sfaccettature risultano alla fine monocordi), senza evoluzione e quindi sostanzialmente improbabili. E’ impossibile immedesimarsi in loro, sentirli vicini, partecipare alle loro vicissitudini: figure senza vita immerse in un paesaggio paradisiaco e che danno quasi l’impressione di disturbarci dal godimento di tanta bellezza. (di Leo Pellegrini)


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