Si chiama Titta Di
Girolamo e da lungo
tempo abita in un
Albergo Svizzero senza
un perchè apparente
consuma la propria
esistenza tra una
camera e il bar, tra
il ristorante e il
salotto dove si gioca
a carte. Regolarmente
riceve una valigia,
e intorno a quella
valigia si condensano
tutti i misteri, mostruosi
e inquietanti, che
lo riguardano. Un
giorno Titta Di Girolamo
rivolge la parola
a una fanciulla Sofia,
e da quel momento
il precario equilibrio
del suo mondo oscuro
va in frantumi. «L'abitudine
alla vita non è
un buon motivo per
vivere», diceva
Jean-Claude Izzo.
Al di là dei
risvolti noir del
film, dell'esigenza
di un colpo di scena
esplicativo che forse
non è poi così
importante. Le
conseguenze dell'amore
lavora su questo.
Sull'abitudine il
vuoto, la mancanza
di senso dei gesti
e dei pensieri di
un individuo alla
deriva. Calato in
una dime-
nsione
squisitamente
metafisica,
allora,
quello
di Sorrentino
diventa
un grande
film.
Non
importa,
cioè,
che
dietro
ci sia
una
storia
di mafia,
e che
la fine
di Titta
rimandi
simbolicamente
alla
sua
ormai
appurata
"imbalsamazione"
(pietrificato
di fronte
a tutto,
alla
vita
come
alla
morte).
In fondo
il senso
del
film
è
già
nel
suo
essere
così
sospeso
"svuotato",
liquido.
Non
a caso
Sorrentino
attra-
verso
i vetri e
il direttore
della fotografia
Luca Bigazzi
attraverso
i filtri,
ci fanno assistere
alla tragedia
del protagonista
come fosse
in un acquario.
E con curiosa
simmetria,
rispetto al
suo precedente
film L'uomo
in più,
nel quale
un destino
si raddoppiava,
il regista
(anche sceneggiatore)
questa volta
dimezza, sminuzza,
finché
Titta non
diventa l'uomo
in meno, l'elemento
mancante.
Lo scandalo
filosofico,
quindi, è
il momento
in cui si
sospetta che
potrebbe mancare
a qualcuno
(a Sofia?).
Allora sì
che l'universo
crolla, e
quell'uomo
che prima,
non c'era,
finalmente
c'è.
Toni Servillo,
un Titta straordinario,
riempie la
scena ma non
la ingombra
mai, proprio
perché
sopra, sotto,
dentro e intorno
a lui pulsa
il vuoto liquido
dell'acquario.
Ma sono da
brivido anche
i due personaggi
secondari,
Angela Goodwin
e Raffele
Pisu, che
si trascinano
dietro un
senso di decadenza
e di "orgo-
gliosa"
solitudine
che appartiene
da sempre
agli uomini
e alle donne
della letteratura
lacustre,
da Piero Chiara
in giù.
(di Mauro
Gervasini
- Film TV)