CONNIE E CARLA
 

connie e carla recensione

 
È la seconda commedia scritta da Nia Vardalos, dopo “Il mio grasso, grasso matrimonio greco” (e il film che ne fu ricavato le ha fruttato una nomination agli Oscar 2003 per la migliore sceneggiatura originale). Il film è prodotto da Rita Wilson (moglie di Tom Hanks) e dalla stessa Vardalos. Connie e Carla fanno cabaret in uno sfigatissimo bar di Chicago. Testimoni di un omicidio scappano a Los Angeles per sfuggire ai sicari. Costrette a crearsi una nuova identità, iniziano una nuova carriera come cantanti drag queen. Dal regista di "Friends", una opera che vuole porsi sulla scia di "Victor Victoria" e "A qualcuno piace caldo". Il problema è che lì c’erano due grandissimi registi, Blake Edwards e Billy Wilder, che facilmente (visto il loro talento prodigioso) riuscirono a creare due pietre miliari della commedia, un perfet-  
 
to equilibrio tra farsa e sentimento, tra umorismo di battute e comicità di situazioni. Farse paradossali dal ritmo travolgente in cui il travestitismo era l'asse portante dell'azione. Ma, ahimé, nulla di tutto questo in “Connie e Carla” che dopo appena mezz’ora comincia a girare a vuoto, ripetendosi all’infinito per arrivare poi stancamente al finale mal realizzato, e senza essere mai divertente né commovente né  
coinvolgente. Difetta la sceneggiatura (sembra che la Vardalos abbia poco da dire su un argomento che è stato sfruttato fino all’osso dal mondo dello spettacolo), difetta la regia (senza nerbo, senza fantasia, senza alcun tocco d’originalità). Difetta la componente “musical” del film (i numeri musicali dovrebbero dare l’idea dell’ambiente squallido in cui si producono, ma sono in realtà squallidi). Nia Vardalos, come interprete, rifà continuamente se stessa. Toni Collette (che ci aveva sbalordito come attrice drammatica in “The Hours”) è bravissima (e conferma di essere una delle migliori attrici attualmente in circolazione) ma completamente sprecata nel contesto. Ottima la performance di Stephen Spinella, molto reale e naturale nel ruolo del fratello del protagonista: esprime al meglio la caratterialità di un uomo fuori dal comune, molto stravagante ma profondamente umano. David Duchovny riesce ad essere abbastanza plausibile nel personaggio affidatogli: il classico bravo ragazzo, un po’ noioso, ingenuo e seducente. Perfetti risultano “i travestiti” che circondano le due protagoniste, mai eccessivi, mai sopra le righe. Caratteristiche che invece ritroviamo proprio nella Vardalos e nella Colette a cui il regista Michael Lembecck ha chiesto di esagerare in ogni espressione, in ogni movimento e fin dall’inizio quando manca alcuna giustificazione (e sempre uguali ed eccessive per tutto il film): e il risultato è dare al tutto un tono di falso, di artificioso, di costruito a tavolino che genera nello spettatore fastidio e irritazione. Gli unici lati positivi di “Connie e Carla” sono i messaggi che contiene (amare vuol dire accettare le differenze, l’industria della bellezza penalizza le donne, chi è diverso da noi non è un mostro) e la fotografia (molto anni 50, sulla falsariga di “Lontano dal Paradiso).

p.s il film finalmente ci spiega l’origine del “drag” (drag-queen, “travestiti” in italiano): nel teatro di Shakespeare quando un attore doveva entrare in scena vestito da donna (dressed as a girl) a margine del testo si inseriva la scritta “dr.a.g”.

(di Leo Pellegrini)

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