COLLATERAL
 
 

- Recensione -

 
Immerso in una cupa, metallica e scura Los Angeles il mondo, si concentra tutto in una notte sfilando dal finestrino di un taxi. Si scalda con il personaggio di Max, il tassista interpretato da un misurato, convincente e bravo Jamie Foxx e si raggela con il suo passeggero Vincent, i cui panni grigi – dai capelli all’abito - li indossa Cruise che non delude, confermando le sue capacità camaleontiche d’attore e la voglia di rimettersi in discussione con la scelta di ruoli complessi. Vincent, un nome inglese che suona nobile, è un killer con un contratto da onorare. Un assassino tecnologico e organizzato che esegue la sua professione, protetto da una facciata ordinaria. Il suo aspetto è simile ad un executive o un avvocato qualunque equipaggiato di telefonino, palmare e computer. La differenza è nei file del suo portatile: vi sono inserite  
 
le schede coi nomi e le facce delle cinque persone che deve eliminare, coinvolte in un processo ai danni di un cartello di narcotrafficanti. La differenza è nello sguardo degli occhi e della mente: come un chirurgo che opera senza coinvolgimento emotivo, lui uccide. Punto. Assolve al suo compito senza sensi di colpa. Stop. Solo in alcuni momenti è concesso d’intuire l’uomo dietro al killer: qualche battuta  
amara e qualche considerazione filosofica inaspettata lo rendono accessibile. Sono questi squarci di umanità, a mio avviso, la vera forza del personaggio. Ci affascinano e che ci obbligano a constatare: perché è così? Quale è la sua storia? Perché fa questo mestiere? La strana coppia si dirige incontro alla notte e agli imprevisti, scivolando sul nastro nero delle strade losangeline. Il taxi attraversa l’anima della città notturna altrimenti celata dalla frenesia del quotidiano. Il buio cola come metallo ricoprendo palazzi, semafori, luoghi d’aggregazione e volti cospargendoli di luce fredda, ostile che allo stesso tempo rischiara il lato più selvaggio e sfuggente di ogni cosa, animale o individuo che la popola. È un film, le cui fila sono tenute salde dal pugno di ferro del regista, nel quale gli opposti (l’umano, timido, disperato e risoluto Jamie e l’inumano Vincent, la notte e il giorno, le luci e le ombre) convivono costringendoci a un continuo altalenare di pensiero tra ciò che riteniamo giusto o sbagliato. Se ci può essere immedesimazione nel tassista perché in qualche modo è la vittima e colui che deve sbrogliare la matassa per sopravvivere, subiamo anche l’attrazione per il magnetico assassino dal cuore nero, capace di interrogarsi sull’esistenza e il suo significato. Il secondo tempo è adrenalinico, incessante, e senza tregua sino all’epilogo. La mano sicura e maestra di Mann è supportata da una sceneggiatura tesa e senza cedimenti che contribuisce, con tutto il cast ben assortito, all’ottima riuscita di questo noir di classe, trascinante e di sicuro impatto.
(di Daniela Losini)
 
 
   
 

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