Un paesaggio arido,
grigio e spento, fatto
di fabbriche e fumi
industriali, la desolazione
di una vita legata
ad una carriera che
non va più,
la droga, la musica:
tutto si intreccia
nell’ultimo
film di Olivier Assayas.
Lee (James Johnston)
e Emily (un’ottima
Maggie Cheung, migliore
attrice a Cannes nel
2004) attraversano
un brutto momento:
lui non riesce più
a vendere dischi,
e quel che è
peggio si rende conto
di riuscire a fare
solo pessima musica.
La droga sembra essere
ormai l’unico
discorso che sopravvive
all’interno
della coppia. In seguito
ad un litigio lui
passa la linea. Overdose.
Inizia per Emily un
calvario alla ricerca
di un posto per dimenticare
e per ricominciare,
lontano dalle voci
di chi l’aveva
definita la causa
del declino artistico
e della morte stessa
del compagno. Il tentativo
di darsi un’altra
possibilità
di crearsi una nuova
vita, si
rispecchia
anche
nel
cambiamento
della
lingua
che
la protagonista
usa
(interessante
ma percepibile
solo
nella
proiezione
in lingua
originale).
Emily
torna
in Francia
dove
viveva
prima
di conoscere
Lee
ma niente
è
più
come
prima:
unica
ragione
per
cambiare
è
suo
figlio
cresciuto
con
i nonni
paterni.
Ed è
proprio
grazie
al rapporto
con
il suocero
Albrecht
(un
Nick
Nolte
che
convince
davvero)
che
Emily
trova
la
fiducia
in se stessa
e la forza
di cancellare
le brutture
del passato
per vivere
una vita pulita
(da cui il
titolo Clean).
I toni acidi,
graffianti
e cattivi
della pellicola
inquadrano
e puntualizzano
perfettamente
la situazione:
il direttore
della fotografia
Gautier non
si compiace
di immagini
belle e la
macchina da
presa evita
di essere
estetizzante.
Le parti salienti
del film sono
raccontate
dai dettagli,
un laccio
emostatico
che si tira,
una sigaretta
accesa nervosamente;
è cosi
che il regista
racconta gli
stati d’animo
dei suoi personaggi,
senza indugiare
in nessun
sentimentalismo.
Un film ben
realizzato,
che scorre
senza pause
per quasi
due ore senza
essere mai
pesante; scorre
bene, direi
quasi scivola
via, e del
racconto di
una vita difficile,
di scelte
dure e radicali
non resta
niente. E’
un racconto
senza analisi,
una realtà
fotografata
e che subito
si dissolve,
come il luccichio
del sole che
si riflette
su di uno
specchio d’acqua
e crea dei
giochi mirabili
ed affascinanti,
ma, un istante
dopo il tramonto,
non ce n’è
che un vago
ricordo.