Hayao Miyazaki (il
regista giapponese
considerato il maestro
mondiale dell’animazione)
nel 2003 ha vinto
l’Oscar con
“La città
incantata“,
premiato anche al
Festival di Berlino
(ed è a tutt‘oggi
il più grande
incasso giapponese
di tutti i tempi).
A settembre del 2004,
alla Mostra di Venezia,
ha ricevuto il Leone
alla carriera, assegnato
ai grandi del cinema.
Quest’ultimo
lavoro non è
forse il suo capolavoro
indiscusso ma è
certamente una opera
nettamente al di sopra
della media, una gioia
per gli occhi, una
buona dose di ossigeno
per l’intelligenza
dello spettatore.
Il film non è
facilmente definibile.
Tratto dall’omonimo
romanzo dell’inglese
Diana Wynne Jones
(pubblicato nel 1986),
parla della diciottenne
Sophie lavorante nel
negozio di cappelli
di un paese che è
un insieme delle ottocentesche
Londra
Praga
Vienna
Parigi…
Una
perfida
strega
la trasforma
con
un sortilegio
in curva
e rugosa
vecchietta.
In fuga
da casa,
Sophie
trova
rifugio
nel
volante
e sferragliante
Castello
del
Mago
Howl,
la cui
porticina
d'ingresso
introduce
in mirabolanti
mondi
paralleli
(ogni
volta
che
si spalanca
la porta
del
castello
vagabondo,
il paesaggio
muta).
Gli
ingredienti
e i
personaggi
tipici
delle
storie
per
bambini
ci sono
tutti:
pae-
saggi
fantasmagorici
e visivamente
splendidi
fanno da sfondo
al mago dallo
sbalorditivo
potere magico,
alla strega
cattiva (ma
non troppo),
alla regina
apparentemente
buona e saggia
ma in effetti
sadica e guerrafondaia,
allo spaventapasseri
amico, al
cane col muso
da vecchietto…
Ma il tutto
è raccontato
in maniera
talmente complessa
e profonda
che il destinatario
naturale del
film non appare
costituito
dal pubblico
a cui normalmente
i cartoni
animati si
rivolgono.
E’ un
lavoro per
adulti, una
storia in
alcuni momenti
quasi ermetica,
costruita
intorno a
passaggi meno
immediati
del solito
e più
oscuri, basata
su personaggi
contorti e
ambigui, dalla
trama non
facile e non
sempre chiara
(a tratti
macchinosa)
ma certamente
ricca di suggestioni,
dalle mille
sfaccettature
e dai molteplici
significati:
evidenti l’elogio
della vecchiaia
(in contrasto
con il mito
giovanilistico
hollywoodiano
era ora che
qualcuno ci
pensasse)
e la critica
alla guerra
(sintetizzata
da un dialogo
che avviene
mentre sul
villaggio
piovono bombe.
Sophie: «Sono
nemici o amici?».
Howl: «Gli
uni o gli
altri, è
la stessa
cosa…!
Dannati assassini.
Guarda, quante
bombe si portano
dietro!»).
Il film è
magicamente
realizzato
in maniera
tradizionale
(i disegni
e gli sfondi
sono stati
realizzati
a mano) e
costituisce
sicuramente
un grande
spettacolo
(anche se
non di facilissima
fruizione),
un mix stupefacente
di misterioso
e sacro, di
comico e tragico:
le scene sono
accompagnate
da musiche
di rara raffinatezza,
le immagini
sono di struggente
bellezza,
le invenzioni
prodigiose
(stupendi
gli strani
macchinari
che nostalgicamente
rimandano
alle epopee
paleo-industriali
narrate da
Jules Verne).
Un film da
vedere, su
cui discutere
e riflettere.
p.s. Alcuni
personaggi,
varie immagini,
i colori,
il tratto
del disegno,
le panoramiche...
sono un evidente
romantico
omaggio a
Walt Disney,
a “Il
Mago di Oz”,
a Busby Berkeley