Esiste un "caso
Takashi Miike"?
Esiste. Trattasi di
regista maudit, dalla
poetica eversiva e
poco imbrigliabile,
con un numero impressionante
di film all'attivo
(ne gira quattro o
cinque all'anno),
alcuni dei quali diventati
di culto grazie al
tam tam dei cinefili
dai festival. Chi
scrive, di titoli
della sua filmografia
ne ha visti (solo)
sei, detestati quattro
(tra i quali il mega
bluff Ichi the Killer),
piaciucchiato uno
(Audition) e decisamente
piaciuto questo The
Call - Non rispondere,
guarda caso il "meno
personale" e
più di genere
tra i film del nostro.
Derivativo, si dirà.
La minestrina è
più o meno
la stessa di The
Ring o del
raffermo Phone,
solo che in questo
caso la morte corre
sul filo del cellulare,
lascia messaggi dallo
stesso numero che
chiama e con la stessa
voce di chi risponde,
annunciando tragedie
di lì a tre
giorni. Così
comincia, implacabile,
la
catena
di morti.
Pur
non
amando
i suoi
deliri,
sarebbe
da stolti
negare
a Miike
un talento
visivo
fuori
dal
comune.
Seguendo
una
griglia
precostituita
(quella
dell'horror
codificato)
questo
talento
non
si deprime
ma viene
valorizzato
e reso
meno
dispersivo.
Così,
da una
parte
si assiste
a colpi
di scena
un po'
telefonati
(e non
potrebbe
essere
altimenti...),
dall'altra
però
si capisce
bene
come
la struttura
blindata
sia
un pretesto
per
indagare
stati
d'animo,
psi-
cologìe,
emozioni e tradurre
tutto questo
in momenti visivi
di forte impatto.
Rispetto ai
film seriali,
insomma, The
Call
non rinuncia
a una poetica
forte, ben presente
nei risvolti
melodrammatici
che contrappongono
l'amore tra
i protagonisti
a una concezione
pervasiva del
Male che va
ben al di là
del puro pretesto
per creare spavento.
(di Mauro
Gervasini
- Film
TV)