LA CADUTA
 

la caduta recensione

 
Dodici anni in dodici giorni. Questo l’assunto de La caduta. Spiare dal buco della serratura del bunker in cui Adolf Hitler e fedelissimi si rifugiavano mentre la loro grande Germania veniva invasa, umiliata, spogliata della sua presunta grandezza e esposta nelle sue tragiche colpe. Scoprire senza esporsi, quindi, la vera essenza delle pagine più nere che la storia ci abbia regalato, accompagnandone il protagonista nel sentiero patetico e delirante verso la disfatta. Un impresa colossale nella sua difficoltà, ancora di più per un tedesco. Una partita forse impossibile da vincere. Da cui si poteva comunque uscire con un’onorevole sconfitta. Così non è stato. Sicuramente per degli errori di impostazione che potevano essere evitati. Il progetto, infatti, è di Bernd Eichinger, una delle firme più importanti del cinema made in Germany – da  
 
'Christiane F.', 'La storia infinita', 'Il nome della rosa' fino a 'Resident Evil' tra i suoi progetti di successo-, potente regista-produttore e, in questo caso, sceneggiatore. Dopo aver ottenuto un budget di tutto rispetto, 14 milioni di euro, ha preso con sè il meglio del parterre attoriale di lingua tedesca. E ha peccato di presunzione. Ha centrato il film sulle ricerche storiche di un conservatore di fama, Joachim  
Fest, e sul libro di Traudl Jungle, ultima segretaria del Fuhrer. Ne ha ricavato una sceneggiatura sufficientemente valida e con spunti interessanti, anche se ingenua, volendo essere generosi, o furba e capziosa, volendo essere più realisti. Il tutto messo in mano ad un onesto mestierante, Olivier Hirschbiegel, famoso per una serie televisiva di successo, 'Il commissario Rex'. La sua regia neutra, in alcuni casi accademica, ma spesso sciatta e televisiva rappresenta uno dei grandi difetti di questa pellicola. Non è dietrologia pensare ad una scelta di comodo di Eichinger che ha cercato in lui un poco ingombrante alleato che gli consentisse di plasmare il film secondo le sue volontà. Ne esce fuori un film confuso, con qualche intuizione interessante ma non folgorante, soprattutto nelle figure, pur troppo caratterizzate, di Hitler, dei coniugi Goebbels e Speer. Senza dubbio sono gli attori a tenere il livello del film sopra la sufficienza. Su tutti, ovviamente, uno straordinario Bruno Ganz- 'L’amico americano', 'Il cielo sopra Berlino' ma, anche 'Pane e Tulipani', tra i tanti film interpretati'- riesce ad emergere nonostante un personaggio scritto per imprigionarlo. Hitler, infatti, appare come uno psicolabile debole e umano, lontano dall’uomo che ha terrorizzato il mondo, quasi un nemico da comprendere. Approccio decisamente irritante e disonesto. Ganz, comunque, riesce, soprattutto sul lungo respiro a renderne parzialmente le contraddizioni, offrendoci la tragedia di quest’uomo ridicolo ma feroce e pericoloso, nel lasso di tempo che va dal suo surreale compleanno al suicidio, incomprensibilmente ammantato di un’epicità fuori luogo. Molto vicina ad un’altra grande interpretazione, quella di Alec Guinness ne 'Gli ultimi 10 giorni di Hitler', di Ennio De Concini. Un film da vedere, perché porta sul grande schermo un tema ignorato e temuto. Perché grandi cineasti, come Wenders, ad esempio, fiero oppositore di questa operazione, siano portati a trattarlo con maggiore rigore e sensibilità.

(di Boris Sollazzo)

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