CHE PASTICCIO, BRIDGET JONES!
 

- Recensione -

 
Bridget è tornata. La massima esperta mondiale della carriera di Madonna è di nuovo tra noi, insieme col suo inseparabile diario e le sue relazioni amorose tormentate. Questo secondo episodio, Che Pasticcio, Bridget Jones! si mantiene sulla falsariga del suo fortunato predecessore: gli equivoci sentimentali, i discorsi fuori luogo e una totale mancanza di tatto e di tempismo dominano la scena. I personaggi sono invariati rispetto a Il Diario di Bridget Jones, così come invariata è la loro struttura (lei, lui, l’altro), tutto ruotando attorno ad una Bridget (Renèe Zellweger, regina incontrastata nel mettersi in situazioni imbarazzanti) finalmente fidanzata e più a suo agio con se stessa, lontana dal voler fare diete o smettere di fumare; i problemi di coppia con il glaciale ed imperturbabile fidanzato Mark Darcy (un  
 
Colin Firth che ci regalerà un sorriso solo a pochi minuti dai titoli di coda) e gli ammiccamenti del fascinoso e carismatico collega Daniel Cleaver (interpretato da Hugh Grant, al quale il ruolo da quarantenne seduttore dall’aria furba calza come una seconda pelle), sono le situazioni dalle quali la biondina dovrà riuscire a districarsi. Pur incastonato in una trama pretestuosa e fondamentalmente abbastanza inutile e in una  
regia sicuramente di basso livello, il film regala risate genuine costruite su situazioni ironiche e paradossali, che trovano la naturale esplicazione nelle capacità, soprattutto gestuali, della Zellweger di strappare sempre e comunque un sorriso allo spettatore. Uno humour molto inlgese serpeggia e coinvolge, proponendosi come chiave di lettura dell’intero film. Non mancano i momenti moraleggianti, che a dire il vero si dimostrano i meno fortunati, utilizzati per ridare la giusta prospettiva ai problemi quotidiani che possono sembrare insormontabili finchè non li si confronti con questioni ben più gravi. Di sicuro la più divertente tra le commedie natalizie di questo 2004, in ogni caso. Anno nuovo, diario nuovo: solita Bridget? Forse no...
(di Antonio Nasso)
 
 
   
 

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