THE BOURNE SUPREMACY
 
 

- Recensione -

 
Seconda puntata delle avventure dello smemorato Jason Bourne, il killer addestrato dalla Cia incappato in un buco nero dello spionaggio internazionale e della propria mente inventato dal macinatore di best seller Robert Ludium, che ne ha fatto l'eroe di tre romanzi (aspettiamoci perciò tra un paio d'anni il terzo episodio cinematografico): da Goa a Berlino, da Mosca a New York, Bourne cerca di sottrarsi a una nuova trappola che lo allontana dalla sua ricerca della pace e della memoria. Matt Damon fugge, spara, precipita, aggredisce, spia, combatte contro i suoi incubi notturni. Tre inseguimenti (a Goa in auto, a Berlino a piedi, tra una stazione del metro e una chiatta, a Mosca ancora in auto) danno il tempo e lo scopo del film: pura adrenalina, l'intreccio conta poco e tende ad offuscarsi, come nei  
 
ricordi smozzicati del protagonista. La regia è passata da Doug Liman (che resta produttore esecutivo) a Paul Greengrass, il regista di Bloody Sunday che applica al thriller la stessa cadenza nervosa, con molti piani ravvicinati e tagli veloci di montaggio. Uno stile che dà il meglio nell'identificazione immediata delle location (non banali, anche se, come sempre in questi film, resta un sospetto "turistico") e nella sequenza  
dell'agguato in Alexanderplatz, tra la folla dei manifestanti. Consueto ma godibile; resta da chiedersi: riuscirà Jason Bourne a sostituire James Bond? (di Emanuela Martini - Film TV)
 
 
   
 

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