LA BESTIA NEL CUORE
 

la bestia nel cuore recensione

 
Venezia 2005 lo spartiacque tanto atteso? Forse sarebbe esagerato sostenere la tesi di una rinascita del cinema italiano (il quale tuttavia non è mai morto, semmai è stato molto sottovalutato). Parlare, invece, di una sua rivalutazione non sembra certo azzardato. "La bestia nel cuore" di Cristina Comencini è il monito di come il panorama filmico nostrano abbia aspetti inesplorati da portare al vaglio della critica disfattista e che, salutati con rimpianto De Sica, Blasetti e Visconti, bisogna voler osservare con maggior scrupolo nel calderone per rendersi effettivamente conto di come Garrone, Giordana e la stessa Comencini (solo per citarne alcuni) siano realtà da non prendere sotto gamba. Il perché di un’analisi tanto entusiastica di fronte a questa nuova firma della regista capitolina? Presto detto. Un cast di  
 
grandi nomi non tradisce l’attesa di un’amalgama auspicata. Boni, la Rocca e la Finocchiaro si confermano qualcosa di più di semplici seconde linee. Luigi Lo Cascio è il talento maschile della nuova generazione mentre la Mezzogiorno accresce esponenzialmente la bravura di una recitazione sempre meno impulsiva e molto più studiata (come dimostra l’ennesimo riconoscimento ottenuto al Lido). Inoltre la nuo-  
va pellicola della regista romana sviluppa una tematica magari inflazionata ma con una naturalezza registica che conferisce solidità ad un impianto narrativo di per sé suscettibile a numerosi scricchiolii. A primo impatto infatti, la storia di Sabina (Giovanna Mezzogiorno) è quella di una vita perfetta condita dai clichè tipici di cui sembra fieramente nutrirsi l’uomo medio e in cui vita, amore ed esperienza sembrano perfettamente assemblati in un puzzle d’imperscrutabile precisione. Tuttavia l’irrompere sulla scena di una nuova vita in grembo destituisce la pacata atmosfera da tutte le sue acquisite responsabilità, catapultando improvvisamente certezze inossidabili nel più profondo dei drammi esistenziali. In questo passaggio è insita la genialità della Comencini, autrice tra le altre cose del romanzo da cui è tratto il soggetto; la capacità di trasformare un comune dramma intimista in una labirintica piece fatta di amore, odio, rabbia e rinascita. Il tutto attraverso la memoria, componente parecchio strumentalizzata ma in questo specifico plot riesumata attraverso immagini potenti e rumorose come il fragore tonale di un temporale estivo. Sembra di scorgere molto Araki in questa pellicola. Tutta la crudezza del suo "Mysterious Skin" viene manipolata dalla Comencini, rifunzianalizzandone l’intento, tanto da rendere su pellicola solamente l’aspetto più (apparentemente) salvabile della tematica. Forse solamente una consapevolezza fittizia a cui ancorarsi per non sprofondare? Evenienza probabile, alla quale sembra legato il destino di chi ha visto, provato, sofferto. La speranza dunque? Esiste e nel finale aperto affiora tutta la voglia di scagliate il macigno dallo scosceso pendio della propria esperienza. Dell’esperienza, appunto. Non della memoria. Il ricordo incancellabile di una violenza subita non può smaterializzarsi soltanto al semplice incedere delle lancette. Può soltanto alleviare il proprio impeto. Soltanto? Soltanto.


(di Marco Visigalli)

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