ALONE IN THE DARK
 
 

di Mirko Nottoli

 

di Francesco Lomuscio

Ci voleva un videogame (di cui non so nulla essendo io rimasto a Double Dragon in fatto di videogiochi, quando non ci voleva una consolle ma un bar ed una moneta da duecento lire – e modestamente con duecento lire io Double Dragon lo finivo!) per far resuscitare Christian Slater dal limbo degli obliati. E il nostro, canottiera nera e cappotto svolazzante (ci si chiede che razza di clima ci può essere in un posto in cui si va in giro abbigliati in quel modo), ci prova pure a calarsi nei panni del detective del paranormale, inquieto e fascinoso come troppi ne abbiamo visti, finendo però col collezionare solo una serie infinita di desueti clichè. Non contenti dell’attore protagonista gli affiancano anche Stephen Dorff, il quale, in fatto di attori-bufale, non scherza per niente. Tra Tra i due s’instaura un’evidente competizione ma-   Qualcuno di voi ha forse avuto la sfortuna di visionare l’inguardabile movie-game 'House of the dead', distribuito nelle sale cinematografiche nostrane nell’estate del 2004? Il regista Uwe Boll, responsabile, tra l’altro, anche del thriller 'Sanctimony' (2000), da noi uscito direttamente in dvd, non pago di aver devastato su celluloide il noto videogioco zombesco, ci riprova curando la trasposizione di 'Alone in the dark', primo titolo che, ancor prima del pluriosannato 'Resident evil', applicò al proprio game play un contesto horror. La pellicola vede protagonista Christian Slater nei panni dell’investigatore del soprannaturale Edward Carnby, il quale, ventidue anni dopo la misteriosa scomparsa di alcuni bambini, si ritrova, insieme all’archeologa Aline Cedrac, con il volto della Tara Reid dei primi due 'American pie', nel territorio di "Shadow
 
 
 
schia, silenziosa ma palpabile all’interno di ogni fotogramma, sul chi porta meglio la barba incolta. Dorff, capello biondo, lungo e meschato è senza dubbio avvantaggiato e forse è proprio per questo che il finale è riservato tutto per lui, mentre il povero Slater con quella faccia lì che sembra un Paolo Vallesi malinconico e triste, non può nulla contro il ben più aitante rivale. La trama, tanto farraginosa e improbabile da poter essere ideata solo da qualcuno in preda a incubi notturni dovuti ad un pasto eccessivamente pesante, presenta al suo interno di tutto e di più: Indiana Jones, X-files, Pitch Black, Alien, creature della notte, zombi, antiche maledizioni, mondi paralleli, civiltà scomparse, orfanotrofi sinistri e tutta quell’inutile sbobba col mostro che si palesa nel finale. S’intuisce il tentativo di mantenere fede allo spirito del gioco ma se si decide di fare un film allora bisogna tenere presente che le logiche cui rispondere sono un tantino diverse rispetto a quelle di un videogioco, tipo che se il secondo non necessita di una trama il primo purtroppo sì, e che lo sparare all’impazzata contro ogni genere di mostro non può definirsi “trama”. Diretto da Uwe Boll, già autore di “House of the dead”, il film si compone quasi esclusivamente di scene madri. Ma il clou si raggiunge quando Christian Slater entra in casa, si toglie il giaccone, lo butta per terra, si toglie la canotta rimanendo a torso nudo che neanche Costantino, si sfila la pistola, si slaccia la cintura, si getta sul letto sussurrando tra sé e sé “sono stanco”, “sono stanco”. Non ci vengono risparmiati neppure lui e lei che fanno l’amore su “7 seconds” di Youssun ‘Door. E così tra sequenze indimenticabili, dialoghi d’antologia (lui a lei “ho dovuto uccidere John, era uno di loro, lo controllavano. Lei a lui: “allora non hai avuto scelta”), creature soprannaturali che s’arrendono davanti ad una porta chiusa (neppure a chiave), vecchi curatori di musei che tengono imprigionato nel loro ufficio un mostro bavoso per arpionarlo di tanto in tanto e iniettarsi nelle vene il suo sangue (è tutto vero!), nel più assoluto caos stilistico e semantico, il film si avvia a candidarsi come uno dei più grossi “scult” degli ultimi tempi, da recuperare doverosamente negli anni a venire.




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  Island', per recuperare tre antiche tavolette dall’immenso potere, tra scontri con mostruose creature alla Alien e rozze sequenze d’azione, alcune delle quali caratterizzate da una forzata ricerca del virtuosismo tecnico a tutti i costi che, in un certo senso, rispecchia proprio la “frenetica” cultura dei videogiochi. Prima di assistere a tutto questo, però, veniamo messi al corrente del fatto che l’archeologo Lionel Hudgens, specializzato in ricerche paranormali, effettuò studi sugli Abkani, antica civiltà americana convinta che sulla Terra ci fossero due mondi, uno fatto di luce ed uno di oscurità, tra i quali, 10000 anni fa, aprirono un cancello che non riuscirono a richiudere prima che qualcosa di malvagio riuscisse ad attraversarlo. Ma Boll sembra non smentirsi mai, costruendo (???) un lungometraggio terribilmente soporifero e che non regala nulla di memorabile, tra movimenti di macchina estremamente lenti che sembrano stati realizzati appositamente per colmare circa cento minuti di pellicola e la voce fuori campo di Carnby, la quale, in stile detective-story vecchia maniera, risulta soltanto ridicola e non fa altro che rendere ancora più noiosa la vicenda, man mano che subentrano altri personaggi, tra cui l’agente del governo Richard Burke, interpretato da quello Stephen Dorff che abbiamo visto su diversi set della paura, da 'Non aprite quel cancello' (1987) a 'Paura.com' (2002). Che dire, 'Alone in the dark', fino all’ultima inquadratura, si presenta soltanto come un banale e pessimo prodotto, vivamente consigliato a chi soffre d’insonnia, dai ritmi troppo televisivi perfino per il piccolo schermo e, purtroppo, neppure infarcito della comicità involontaria che aveva caratterizzato 'House of the dead'. Alla larga!


 
 
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