ALEXANDER
 

recensione alexander

 
Si resta soli, quando si diventa mito. Soli con la propria ambizione, con i propri sogni; senza più niente da discutere, nè qualcuno con cui discuterne; senza pari con i quali confrontarsi, se non, forse, gli eroi da leggenda. Alexander di Oliver Stone, racconta le gesta epiche di Alessandro Magno, re dei macedoni e figlio di Filippo II, che seppe conquistare tutto il mondo allora conosciuto, spingendosi così ad oriente come neanche Eracle prima di lui. Colin Farrell interpreta un Alessandro dagli occhi malinconici, perso in sè stesso e nel suo tentativo perenne di raggiungere e superare i propri limiti. L’ultimo dei quali, come ammette egli stesso, sarà la morte. Perchè, gli disse un giorno il suo maestro Aristotele, l’oriente inghiotte gli uomini e i loro sogni. E se i sogni sono pericolosi, i sognatori lo sono ancora di più; ci svuotano da noi stessi e tentano  
 
di imbrigliarci nelle loro utopie. Difficile dire dove finisca l’ambizione collettiva e dove inizi il tiranno che obbliga i suoi uomini a seguirlo in imprese senza senso. Un grande condottiero è, probabilmente, entrambe le cose, qualunque sia la sua epoca. Oliver Stone sceglie un film scritto insieme con Christopher Kyle e Laeta Kalogridis per il suo ritorno alla regia, dopo cinque anni di assenza dalle scene; il risultato è un kolossal che  
racconta miti greci e sanguinarie battaglie, maestosi paesaggi e grandi orazioni, rappresentato con diversi stili di ripresa su cui spicca una fotografia onirica, quasi a voler non solo raccontare, ma catturare il mito. Il regista tiene per se l’ultima mezz’ora di film, rendendola diretta espressione di quel suo stile peculiare, crudo e psichedelico, già ammirato in film come 'The Doors' e 'Assassini Nati'. Tutto il cast riesce a sposare il pàthos dell’opera, agendo da intermediario tra la leggenda e lo spettatore in modo molto credibile; su tutti si stagliano una Angelina Jolie (che interpreta la madre di Alessandro, Olimpiade) mai così antipatica e schizzoide e un Val Kilmer a perfetto agio nei sudici panni di Filippo il Macedone, vero contraltare del figlio e della sua purezza. Alexander riesce là dove 'Troy' aveva fallito, risultando un’opera eroica e coinvolgente, sanguinaria e fragile, come il suo protagontista; lo spettatore non si annoia mai, nonostante il film duri quasi tre ore, anche se a volte sembra di assistere ad un riassunto semplicistico e mal riuscito della mitologia greca. É legittimo chiedersi, in ultima analisi, se avessimo davvero bisogno di un film del genere, o se non sarebbe meglio che il cinema americano la smettesse di pescare a piene mani da miti complessi e che non gli appartengono. Quale che sia la risposta, nessuno può negargli i meriti che gli spettano. Tra cui quello di essere un bel film.
(di Antonio Nasso)
 
 
   
 

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