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consueto,
apre all'insegna dello
spettacolare, mettendo
in risalto il prematuro
segnale dell'imminente
pericolo ambientale
in questione. Quindi,
se le prime immagini
di 'Independence day'
ci mostravano l'astronave
aliena che si dirigeva
verso la Terra, e
'Godzilla' esordiva
con l'attacco del
più famoso
lucertolone della
celluloide ai danni
di un peschereccio,
'The day after tomorrow'
non poteva che iniziare,
con ampio sfoggio
d'inquadrature a piombo
che immortalano i
soggetti sospesi nel
vuoto, efficaci per
conferire allo spettatore
il senso di vertigine,
con la crepatura della
superficie di un ghiacciaio.
Poi si passa alle
vere e proprie similitudini
di contenuto; infatti
il lungometraggio
è strutturato
in maniera praticamente
identica a quella
dei due fanta - movies
precedenti, con la
lunga prima parte
in cui, attraverso
segnali premonitori,
ma senza dimenticare
la psicologia dei
diversi personaggi,
l'autore genera sapientemente
attesa, ricorrendo
soprattutto ad una
delle situazioni che
ormai sembra essere
un vero e proprio
marchio di fabbrica
della produzione fantascientifica
emmerichiana: la claustrofobica
(nonostante ci si
trovi in uno spazio
aperto) sequenza che
mostra la popolazione
intrappolata nel traffico
automobilistico, senza
alcuna via di fuga,
mentre la catastrofe
incombe. Prese in
considerazione tali
analogie, ci è
sembrato opportuno
chiedere al regista:
"Possiamo considerare
'The day after tomorrow'
come terzo capitolo
di una ideale trilogia
iniziata con 'Independence
day' e 'Godzilla',
visto che affrontano
tutti e tre temi simili?
E rifacendosi la pellicola
al filone dei disaster
- movies, che diede
i suoi frutti migliori
negli anni Settanta,
ci sono lungometraggi
di questo genere che
l'hanno ispirata?"
Puntualmente, ci ha
risposto: "Io
non ho mai visto 'Independence
day' come un disaster
-movie, è in
realtà un film
sull'invasione aliena,
anche se in un certo
senso l'ispirazione
è stata in
parte presa da quel
tipo di film, perché
vedevo |
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un
po' gli alieni
come un disastro,
mentre 'Godzilla'
è un
film di mostri;
pensavo in
realtà
che non fosse
possibile
realizzare
oggi un lungometraggio
catastrofico,
ma quando
ho letto quali
sarebbero
state le conseguenze
di tipo politico
provocate
da un improvviso
cambiamento
climatico,
mi sono dovuto
ricredere".
Per quanto
riguarda invece
il suo rapporto
con gli effetti
speciali ha
raccontato:
"Molti
degli effetti
realizzati
per questo
film riguardano
condizioni
metereologiche;
sapendo che
la gente è
perfettamente
a conoscenza
di cosa sia
un'inondazione
o un tornado,
abbiamo cercato
di renderli
il più
fedeli possibile
alla realtà,
ma avendo
tempo a sufficienza
abbiamo avuto
modo di affrontare
e risolvere
tutti i problemi
che si presentavano.
All'inizio
ci siamo rivolti
ad una sola
società
che realizzava
gli effetti
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speciali, poi,
dopo le prime
scene realizzate
in maniera fantastica,
la qualità
è decaduta,
quindi tutte
le cose non
ancora realizzate
le abbiamo affidate
a dodici diverse
società".
E 'The day after
tomorrow', la
cui sequenza
dell'alluvione,
grazie all'eccellente
sonoro (personalmente
confido in un
Premio Oscar),
vale da sola
l'intera pellicola,
risulta essere
il migliore
dei tre lungometraggi.
Supportato anche
da un ottimo
Dennis Quaid
(riscoperto
da Emmerich
grazie a 'Un
sogno una vittoria',
del 2002) e
dalla bella
fotografia dai
toni freddi
di Ueli Steiger,
l'autore de
'I nuovi eroi'
racconta una
emozionante
vicenda che,
pur appartenendo
ad un genere
che il più
delle volte
punta soltanto
ad intrattenere
lo spettatore
per mezzo dell'uso
continuo di
effetti speciali
visivi e sequenze
spettacolari,
non si affloscia
sul solito,
banale finale
ottimista, lasciando
emergere un'infinità
di messaggi
che spaziano
dall'ecologia,
ai conflitti
razziali (sia
per quanto riguarda
il colore della
pelle che le
classi sociali),
a quelli sentimentali,
quasi a voler
dire che non
tutti i mali
vengono per
nuocere, e che
il più
delle volte
il calore umano
è l'unico
vero e proprio
rimedio ai diversi
problemi della
vita, che si
tratti di catastrofi
ambientali,
di divisioni
familiari o
di contrasti
tra le diverse
popolazioni.
E che dire della
collina di Hollywood
che viene distrutta
dal tifone?
E dei sopravvissuti
che, pur di
conservare intatta
la cultura,
si rifiutano
di bruciare
i libri per
generare calore?
Vuole essere
un attacco agli
intellettuali
o semplicemente
un riferimento
a Fahrenheit
451 (1966) di
Francois Truffaut?
In oltre due
ore di piacevole
visione, come
ha affermato
lo stesso Emmerich,:
"L'unica
parte di fantascienza
è alla
fine del film,
per quello che
il vicepresidente
dice: potremmo
definirla una
pia illusione,
in quanto ci
si augura che
almeno una volta
nella vita un
politico ammetta
il proprio errore".
(di
Francesco
Lomuscio) |
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