Inguainato e immerso
in scenografie anni
settanta, citazioni
alla Giulio Verne
e suggestioni surreali,
Zissou-Murray, oceanografo
mistificatore, organizza
l’ultima spedizione
col suo strampalato
team salpando per
l’ennesima volta
sulla Belafonte, barca-quartier
generale. L’obiettivo
è la cattura
di una specie rara:
lo squalo giaguaro
ingozzatosi di un
membro dell’equipaggio.
La traversata sarà
impervia, ostacolata
da pirati, antagonisti
gay-glamour (Jeff
Goldblum) in sciarpa
e infradito rosa e
innumerevoli avversità
psicomarittime. Ma
sotto l’assedio
del nemico Zissou,
per salvare bagnarola
e burattini, trova
la forza di trasformarsi
in una specie di Vendicatore
degli Oceani. C’è
anche spazio per recuperare
il rapporto con un
presunto figlio e
flirtare con la giornalista,
salita a bordo per
scrivergli l’epitaffio
da vivo. Cercan tutti
di stare a galla e
nel finale,
in
sottovuoto
dentro
un sottomarino
giallo,
ecco
la chimera
che
appare
e fa
calare
il sipario.
Dalla
fantasia
ricca
e prolifica
di Wes
Anderson,
la copia
acquatico-divulgativa
de “I
Tenenbaum”
senza
la tenuta
salda,
la coesione
e la
forza
grottesca
della
pellicola
citata.
Se la
prima
parte
arranca
la seconda
è
ondivaga.
Decisamente
troppo
pesce
al fuoco
e la
sensazione
crescente
che
sia
sfuggito
il bandolo
della
matassa
per
troppo
amore e, guai,
a quell’artista
che rimane
invaghito
solo di se
stesso e del
suo mondo
fantasioso.
Pur giocando
nella terra
dell’assurdo
lo sbadiglio,
rivelatore
e rilevatore,
è dietro
le labbra.
Salvataggio
d’emergenza
per la fascinosa
e incrollabile
Anjelica Huston,
per il pancione
della Blanchett
e per l’ispettore
delle finanze,
Bud Court
(l’Harold
di “Harold
& Maud”).
Per il resto,
ho come la
sensazione
d’esser
andata a pesca
di ostriche
e di aver
trovato, invece,
un granchio
nella rete.