Da sempre l’uomo
si è interrogato
sul senso della giustizia,
da sempre si è
chiesto se a guidare
tutto ci sia una forza
ordinatrice superiore.
Che sia la Provvidenza,
ministra di Dio come
la definiva Dante
in una concezione
medievalista fortemente
connotata in senso
religioso, o che sia
Fortuna, divinità
laica e immanentista
per Macchiavelli,
che sia la Provvida
sventura manzoniana
o il semplice risultato
di concause storiche,
l’uomo ha sempre
portato il discorso
sulla giustizia ad
un piano metaterreno,
che andava oltre la
sua volontà
e le sue leggi. Nel
film '36' di Marchal
tutto questo è
cancellato e la storia
si svolge solo sul
piano orizzontale
dell’immanenza,
mai su quello verticale
della trascendenza,
in una dimensione
pessimistica e quasi
soffocante. Anche
di fronte alla morte
di sua moglie, il
protagonista non impreca,
non bestem-
mia
non
chiede
spiegazioni,
non
se la
prende
con
nessun
dio.
Piange
silenzioso,
nella
solitudine
consapevole
e angosciante
dell’uomo
che
non
può
contare
sul
dio
consolatore,
su una
futura
realtà
felice
che
compensi
chi
soffre
qui.
Così
si apre
il film,
con
un magistrale
Daniel
Auteuil
( il
poliziotto
Leo
Vrinks)
che
piange
solo;
e la
prima
parte
della
storia
ci racconterà
in una
sorta
di flash
back
il perché
di quel
pianto.
Due
storie
di
poliziotti
si intrecciano:
Leo Vrinks
e Denis Klein
(un Gerard
Depardieu
intenso e
magnifico)
erano amici
in un tempo
remoto continuamente
accennato
e mai raccontato;
erano amici
prima di compiere
scelte diverse,
il primo di
coerenza e
rispetto verso
una deontologia
professionale
sempre messa
a rischio
da ambienti
corrotti,
l’altro
in una continua
ricerca di
potere e affermazione
personale,
in totale
noncuranza
di valori
etici e morali.
Ora si trovano
faccia a faccia
a contendersi
il posto di
comando del
36 Quai des
Orfevres.
I buoni da
una parte
i cattivi
dall’altra;
potrebbe sembrare
la stanca
ripetizione
di un film
di genere,
uno Stursky
ed Hutch francese,
figlio degenere
e menomato
delle nette
divisioni
necessarie
ed esemplificative
nel clima
della guerra
fredda degli
anni '70 (si
pensi al nobile
Western o
alle scazzottate
del polizziottesco
italiano,
passando per
Don Camillo
e Peppone).
Potrebbe.
Ma la visione
manichea qui
non è
la semplificazione
banale della
realtà,
bensì
il racconto
tormentato
e travagliato
di due coscienze,
cui corrisponde
una presa
di posizione
forte e coraggiosa
del regista
in un momento
di grande
relativismo
etico. Dopo
aver negato
la possibilità
di una giustizia
terrena, poiché
gli uomini
della legge
sono corrotti
e collusi
con un sistema
malato, dopo
aver negato
completamente
il piano ultraterreno,
cosa resta?
L’uomo,
il singolo,
l’individuo,
con le sue
scelte sofferte
coraggiose
e solitarie.