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Inferno recensione] - Purtroppo si sono materializzati i nostri timori peggiori. Anche quelli più reconditi, quelli più imprevisti eppure così prevedibili. Perchè conosciamo i nostri polli, conosciamo il tasso di bigottismo americano e di quanta ipocrisia è capace Hollywood, quando vuole. Ma andiamo per ordine e diciamo quello che già tutti sanno e che tutti già hanno detto per il Codice da Vinci e Angeli e Demoni (Il simbolo perduto è talmente astruso che dopo averlo letto devono aver abbandonato l'idea di farne un film), e cioè che Ron Howard come regista è molto più bravo di Dan Brown come scrittore. Laddove infatti lo scrittore, al netto della bellezza dei capolavori d'arte e dei misteri veri o presunti in essi celati, è risibile nei meccanismi narrativi e nelle svolte drammaturgiche, affidati a provvide casualità confezionate apposta per far progredire la storia al fine di dare adito all'ennesimo enigma da decriptare inutilmente (alzi la mano chi ha capito a cosa serva "cerca trova" nel dipinto del Vasari), il regista sa imprimere alla vicenda un ritmo talmente vorticoso da superare di slancio tutte le incongruenze e le farraginosità della pagina scritta, senza stravolgerla ma solo eliminando e sfrondando lo script dai passaggi più traballanti (nel romanzo, tanto per citarne una, Langdon in cerca di un passo della Divina Commedia non trova di meglio da fare che andare alla casa museo di Dante, mentre nel film usa più agevolmente uno smartphone!), in ciò coadiuvato in larga parte dalla presenza di Tom Hanks che sa come rendere digeribile ogni fesseria che gli fanno pronunciare ("tu sei l'erede legittima di Gesù Cristo" e giù a sganasciarsi) e a dare spessore ed umanità ad un personaggio come Robert Langdon di cui, dopo ben 4 romanzi, le uniche cose che possiamo dire con certezze è che è bravo a risolvere gli anagrammi, soffre di claustrofobia ed ha un orologio di Topolino cui tiene molto. Oltre al portare sfiga, visto che quando c'è di mezzo lui si rischia sempre un' apocalisse come minimo, ma questa è una deduzione nostra. Peccato che regista, sceneggiatori e produttori (tra cui lo stesso Dan Brown) decidano di ribaltare completamente il finale che non solo è la cosa migliore di Inferno ma è probabilmente la cosa che fa di Inferno il migliore dei 4 libri su Robert Langdon (poi che al quarto libro, che presenta le medesime dinamiche, non se ne possa più, è un altro paio di maniche), e quel che è peggio sono i motivi per cui lo hanno stravolto, stravolgendo così facendo il senso di tutto il racconto. Troppo ambiguo, troppo politicamente scorretto (ecco i timori di cui sopra). Invece in un blockbuster per famiglie non si può far passare un messaggio di quel tipo, non si possono lasciare ombre a offuscare superficiali certezze, non si può lasciare intendere che nel male possa nascondersi un bene e viceversa fingendo di ignorare le conseguenze. Meglio dunque togliere di mezzo ogni equivoco e con esso ogni spunto di riflessione in nome di una retorica perbenista e fintamente consolatoria per cui i buoni vincono, i cattivi perdono e in sala un branco di zombie a guardare a bocca aperta.
(La recensione del film "
Inferno" è di
Mirko Nottoli)
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