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SHINING |
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Scopo di
questa rubrica è analizzare i
grandi CAPOLAVORI del
'900 e quindi di IERI. Contestualizzarli
ad OGGI per capire se la prova del TEMPO
li ha resi ETERNI o superati. Verranno
presi in esame solo opere che all'epoca
venivano considerati CAPOLAVORI
per capire, analizzando il contenuto
e la forma, gli aspetti che li hanno
resi tali da essere, circoscritti al
loro TEMPO per ovvi motivi sociali o,
ETERNI anche OGGI e DOMANI. |
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Jack Torrance (Nicholson, assolutamente geniale: entra completamente nel personaggio e ne incarna perfettamente le sembianze, la rabbia e la personalità. Il suo sguardo indemoniato è storia del cinema) è uno scrittore in crisi. Per trovare la pace necessaria a scrivere accetta di fare il custode invernale (nel periodo di chiusura) dell'"Overlook Hotel",
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situato su una montagna del Colorado. Con lui c'è suo figlio Daniel (Lloyd, inquietante al
punto giusto) , dotato di poteri telepatici, e la moglie Wendy (Duvall, perfetta nel raffiguare la fragilità e la remissione della moglie devota, memorabile la sua espressione terrorizzata nel bagno) . L'isolamento forzato e una misteriosa maledizione trasformeranno Jack, risvegliando in lui un istinto omicida. L'essenza pura e assoluta della paura. Questo è "Shining". La paura che Danny sente, percependo il pericolo in anticipo, grazie ai suoi poteri telepatici, ma anche la sua paura di non essere capito e accettato dai genitori per la sua diversità; la paura di Wendy, debole ed insicura, di fronte al temperamento violento del marito; la
paura di Jack, incapace di essere produttivo nel suo lavoro, di essere un buon padre e un buon marito e
- soprattutto - di controllare se stesso. La paura della solitudine e dell'isolamento. La paura, infine, che si insinua nella spina dorsale dello |
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dello spettatore, al vibrare della musica e allo scorrere lento della telecamera, fino alle improvvise immagini di terrore (gemelle, sangue, donna cadavere). La maestria dello "Shining" è nel catturarti completamente, ipnotizzandoti nei corridoi dell'Overlook Hotel e nei
cespugli del labirinto del suo giardino per poi terrorizzarti con l'orrore più puro. Per far questo Kubrick sceglie uno stile dapprima fluido e in continuo movimento (i piani sequenza con la |
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steady-cam che segue Danny nei corridoi dell'albergo sono sublimi ed è grazie a loro che anche un giro in triciclo fa venire i brividi), poi ritmato, fino al climax ascendente che culmina nell'inseguimento finale. Perfetta, infine, la sceneggiatura, per opera dello stesso regista e in rivisitazione dell'omonimo libro di King (che ha disconosciuto il film, girandone una nuova versione di scarso successo), in una tipica trama horror che si intreccia alla perfezione con riflessioni a carattere socio-psico-antropologico, veicolate da immagini
straordinarie, a volte stranianti (come la stanza che si riempie di sangue o i personaggi bizzarri che popolano l' Overlook Hotel ), a volte scioccanti (come le apparizioni delle gemelle o il volto di Nicholson alterato dal parossismo della rabbia). Con questo film Kubrick conferma una sensibilità acuta per determinate tematiche. Tra queste sono da segnalare la violenza insita nell'uomo, perfettamente
incarnata da Nicholson e dalla sua involuzione, e resa agghiacciante dall'ineluttabilità del male in
situazioni di isolamento e alienazione; la forza indomita e
incontrollabile del male, che anche attraverso percorsi paranormali riesce ad avere la meglio sulle pretese razionalistiche dell'uomo, incapace di...(continua)
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