La recensione del film 47 Ronin

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47 RONIN - RECENSIONE

47 Ronin recensione
Recensione

di Mirko Nottoli
[47 Ronin recensione] - A leggere quanto veniva scritto oltreoceano, 47 ronin non lasciava presagire nulla di buono. Difficoltà lavorative, budget sforati, rimaneggiamenti in post produzione da cui è derivata una serie di critiche non proprio lusinghiere. E invece. 47 ronin si lascia guardare, diverte, a tratti avvince. Di certo non è quel paciugo che ci si poteva aspettare. Possiede un proprio respiro solenne, procede linearmente ben dosando i tempi tra pause e accelerazioni, sa come trasmettere il senso di sacrificio e onore che lo innerva. Alla stregua del recente L'uomo con i pugni di ferro, di cui già parlammo in termini positivi, 47 ronin è un film che mescola fantasy e storia, è kurosawa che incontra jerry bruckheimer, è sashimi alla hollywoodiana: non c'entra niente con il vero sashimi ma non è detto che faccia schifo. Insomma, se non si è dei filologi di cultura e miti nipponici, se non disturba vedere dei samurai lottare con una specie di bufalo piumato dall'espressione rincitrullita, se si riesce a sorvolare su alcuni buchi di sceneggiatura, che ci sono, inutile negarlo, a testimonianza di troppe mani diverse intervenute a intorbidire le acque (perché il tizio tatuato da teschio che compare perfino sul manifesto si vede mezzo secondo di orologio?), allora si potrà anche apprezzare l'opera dell'esordiente Carl Rinsch. La storia, adattata per il grande schermo da Chris Morgan, già autore di gran parte dei Fast and Furious, tanto per ribadire qual è il vero spirito che sta alla base dell'operazione, il quale, a voler esser onesti, non indugia nemmeno eccessivamente nelle tamarrate a cui ci aveva abituati, la storia – dicevamo – è nota ed è una delle leggende più celebri e raccontate del Giappone feudale: si narra di 47 samurai che, nonostante la disparità di forze, decidono di vendicare il loro padrone, dopo essere stato costretto al suicidio con l'inganno, contravvenendo così agli ordini dello shogun e ben consci che anche in caso di missione riuscita, ad attenderli ci sarebbe stata comunque la morte. Forse paradossalmente è proprio la storia ad essere l'anello debole della pellicola, se per storia si intende non tanto la sinossi bensì la trama che già dal nome alluderebbe ad un intrico di fili, ad un intreccio appunto, mentre qui l'intreccio, nel senso di struttura complessa, è a ben vedere inesistente. Per continuare con la metafora tessile più che ad un ordito ci troviamo infatti di fronte ad un unico filo, lungo e stirato che va spedito dove deve andare senza grosse circonvoluzioni anche laddove alcuni snodi narrativi avrebbero richiesto un'attenzione più accurata e approfondita (come ad esempio la componente demoniaca del protagonista, potenzialmente pregna di sottotesti ma trattata con estrema superficialità) . Nonostante le critiche piovute da più parti, si è detto entusiasta del risultato Keanu Reeves, qui nelle vesti del mezzosangue fascinoso e cupo, bistrattato dai nativi del sol levante in quanto meticcio, allo stesso tempo innamorato e imperturbabile, fisso in una monoespressione malinconica che più che denunciarne i limiti interpretativi pare funzionale a donargli un'aria messianica memore del piccolo buddha che fu. Lo surclassa comunque Hirouki Sanada, fiero e dolente capo carismatico dei 47 samurai, vero motore di tutto il racconto. (La recensione del film "47 Ronin" è di Mirko Nottoli)
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