La recensione del film 1917

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1917 - RECENSIONE

1917 recensione
Recensione

di R. Gaudiano
[1917 recensione] - La guerra è l'assenza di un patto tra umani. Non è assenza di pace. E' l'incapacità degli uomini di rispettarsi, affidandosi a comportamenti i più inconcepibili e disumani possibili. Eppure, detta questa verità, Sam Mendes con "1917", film sulla Grande Guerra, riesce a generare un'emozione così forte nella restituzione potente di questa tragedia, con particolari tanto veritieri che lo spettatore non può fare a meno di percepirsi dentro la scena. I caporali Schofield (Geoge MacKay) e Blake (Dean Charles Chapman) sono due soldati dell'esercito inglese, appartenenti allo stesso battaglione e sono legati da un profondo senso d'amicizia. Il 6 aprile del 1917 i due caporali ricevono l'ordine per una missione suicida: armati di mappe, torce, pistole lanciarazzi, granate e pochissimi viveri, devono attraversare la Terra di Nessuno per raggiungere la cittadina di Ecoust, individuare il battaglione appostato nel Bosco di Croisilles e consegnare al Colonnello Mackenzie una lettera firmata dal generale Erinmore (Colin Firth) con la quale il generale intima di non attaccare l'esercito nemico. L'aviazione inglese aveva difatti scoperto che la ritirata dei tedeschi nascondeva una congegnata imboscata, e l'attacco avrebbe causato la morte certa di 1600 soldati. Nel battaglione del colonnello Mackenzie c'è anche il fratello di Blake. Schofield e Blake devono compiere la loro missione in 24 ore. Sam Mendes dopo aver portato sullo schermo il noto agente segreto James Bond (Skyfall del 2012 e Spectre del 2015) e vinto l'Oscar per la miglior regia con "American Beauty", con "1917" racconta l'uomo, come unico artefice della guerra e di quella guerra, la Grande Guerra, che fu soprattutto una guerra di posizione, di attesa estenuante, di privazioni inaudite. Una guerra cruenta, un corpo a corpo debilitante dal punto di vista psicologico, soldati accatastati nelle trincee, dove, nell'attesa dell'attacco nemico, sapevano di poter finire braccati come topi. Mendes prende l'idea dalle esperienze di guerra di suo nonno, combattente della Grande Guerra e in un'unica (falsa) sequenza incolla la mdp sui volti dei due militi, li ritrae in corsa, mentre affondano i loro scarponi nel fango, scansano fossi che pullulano di corpi ormai senza anima, vaganti in paesaggi apocalittici avviluppati in salti temporali tra la luce e tenebre della notte. La semplicità della sceneggiatura assume una portanza straordinaria per lo stile tenace, essenziale, di vera arte cinematografica. Senza mai cadere nel banale stereotipato "1917" trionfa per la forma espressiva ed efficace, raccontando tutto in un tempo reale, fluido e con ritmo incessante. Lo spettatore segue passo passo gli accadimenti, gli ostacoli, le imboscate, la corsa forsennata, la morte e la vita. In quel giorno di primavera del 1917, mentre gli odori della natura nascente vengono annientati della decomposizione di carni umane e di animali, due giovani guerrieri combattono perché la vita trionfi. Se Mendes ha voluto mettere in scena la guerra in tutte le sue miserie e le sue contraddizioni ha pienamente fatto centro, riuscendo nel messaggio più edificante: in guerra l'uomo non pensa, esegue, come le bestie. Quando deve uccidere e quando deve salvare, sfodera tutta la sua vitale disperazione. Premio miglior regia e miglior film drammatico al Golden Globe 2020, nove nomination al Bafta, premio miglior regia, miglior fotografia e miglior montaggio al Critics Choice Award 2020, "1917" è candidato con dieci nomination al Premio Oscar 2020, per il quale facciamo un meritato caloroso in bocca al lupo. (La recensione del film "1917" è di Rosalinda Gaudiano)
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