di R. Baldassarre
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150 milligrammi recensione] - 150 Milligrammi potrebbe essere rappresentato attraverso la figura geometrica di un quadrilatero. Alla base la rivisitazione al femminile del mito di Davide contro Golia; in alto l'ispirazione di utilizzare gli stilemi visivi e narrativi americani di molte pellicole d'impegno civile; sul lato sinistro il rendere culturalmente appetibile il prodotto cine-industriale; sul lato destro il riuscire a rendere commerciale e fruibile un'opera di cinema sociale e d'informazione. Un quadrato il cui perimetro è ben chiuso dalle quattro sponde, ma le cui linee, purtroppo, non sono perfettamente marcate. I lodevoli pregi d'impegno dello scottante tema, tratta dal libro Mediator 150 MG di Irene Frachon, non trovano un completo e solido riscontro nell'articolazione grammaticale cinematografica adottata dalla regista Emmanuelle Bercot. Autrice affermata di cinema d'interesse sociale – il precedente A testa alta ha ricevuto favorevoli lodi critiche e di pubblico –, la Bercot questa volta si ritrova a fronteggiare una vicenda reale recente, e ha il delicato compito di rispettare i fatti ma allo stesso tempo traslarli in una narrazione fluida e avvincente, condensando la corposa storia della Frachon. 150 milligrammi si ritrova nella posizione di far ricordare alla società francese il gravoso scandalo e, allo stesso tempo, comunicare informazioni a spettatori che non conoscono l'accaduto. Per convogliare queste due necessità di condensazione, senza tagliare l'analiticità, la Bercot, quindi, si rifà a quel cinema d'impegno – e d'impatto – che a Hollywood ha creato, in pratica, un forte sottogenere, con opere che sono capisaldi del cinema per tramandare la memoria. Immergendosi nella storia cinematografica di 150 milligrammi, con la sua colorita protagonista (una formidabile Sidse Babett Knudsen), torna subito alla mente l'altrettanto vivace personaggio di Erin Brockovich, "Davide" in gonnella e tacchi a spillo dell'omonima pellicola di Steven Soderbergh. Riemerge, però, tra le pieghe della narrazione, anche qualcosa di Insider – Dietro la verità di Michael Mann, con i personaggi contemplati con l'obiettivo mentre si ritrovano "abbandonati" nella solitudine della lotta; oppure brandelli di L'uomo della pioggia, cioè nei momenti in cui la "novellina" Frachon si deve scontrare contro i mastini dell'imponente casa farmaceutica Servier, che fanno pensare all'avvocato "pivello" Matt Damon nel film di Francis Ford Coppola. Quello che cambia, ed è il vero perno della vicenda, è il personaggio femminile. Per la Bercot 150 milligrammi non è solo (ri)raccontare lo scandalo del Mediator, ma mostrare la dura lotta di una donna caparbia in una società, medica e statale, ancora di forte tempra maschilista. Il titolo originale del film, La fille de Brest (La donna di Brest) marca questa ferma focalizzazione sul coriaceo e allo stesso tempo solare personaggio della Frachon. Fortunatamente la Bercot non alimenta la vicenda con scene di usuale e blanda tensione cinematografica, atte ad alzare il climax narrativo. Proprio come dice il marito Bruno (Patrick Ligardes), rispondendo alla paura di Iréne di possibili bombe collocate nell'auto: «Non siamo nel Sud Italia o in Russia», la Bercot cerca di rimanere salda al quotidiano, facendo scaturire l'ansia dalla pressione che la protagonista subisce. Esplicative, seppure blande, i flash metaforici in cui la Frachon si trova annaspante in mare aperto. Quindi, cosa c'è che non funziona in 150 milligrammi? Il palpabile senso di déjà-vu cinematografico, e una lunga durata che indebolisce, e rende tediosa, la storia e a tratti fa sembrare la pellicola un prodotto per la televisione.
(La recensione del film "
150 milligrammi" è di
Roberto Baldassarre)
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